Ce li avevano spacciati per indagini sociologiche. All’inizio italiano del fenomeno-reality si parlava tanto di cavie messe sotto osservazione, della crudeltà psicologica di sottoporre persone a esperimenti come fossero cose.
Sembrava, insomma, che lo facessero per noi: che per una volta, in modo tanto evidente, venisse data allo spettatore la possibilità di indagare le pieghe più profonde dell’animo umano, di speculare l’intimo dei comportamenti sociali in un contesto strano e straordinario come quello di una Casa.
Pareva ci venisse data l’occasione di frugare -alleggeriti da ogni senso di colpa- nelle camere da letto di un appartamento ‘reale’, senza filtri, senza mediazioni. Si pensava, addirittura, senza copione...
Qualcuno sui giornali scriveva contro, si dissociava sin dal principio. Ma tant’è: il cammino del progresso non si può intralciare o fermare, e neppure quello dell’importazione prodotti-tv.
Poi, come era prevedibile, l’esperimento ha funzionato. Ma abbiamo scoperto –guarda un po’- che quelli sotto osservazione eravamo noi, noi tutti: i “tele-visionari”. E allora alla casa è seguita l’isola, la beauty-farm e poi ancora la fattoria, che adesso è diventata una ‘fazenda’.
Siamo noi le vittime dell’indagine sociologica e ci continuiamo a sottoporre alla tortura senza averne preso davvero neppure coscienza, senza nemmeno sentirne il dolore. Ci siamo addirittura improvvisati critici televisivi perché, ovviamente, non si fa che parlarne e parlarne male.
La D’Urso insopportabile: eppure è ancora lì, con la sua faccia tesa come una calza da telecamera che non riesce a decidersi sul ruolo e vacilla tra una brava zietta e una spietata lanciatrice di coltelli da cucina. Gli ospiti in studio cercano di nascondere le poche idee che hanno per non alzare la media dell’intelligenza consentita.
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