Nel suo saggio Teoria della prosa, il formalista russo Viktor Šklovskji sostiene che lo scopo dell’arte è di trasmettere l’impressione dell’oggetto come “visione” e non come “riconoscimento”, e che l’arte ottiene questo risultato attraverso il procedimento dello “straniamento”, che si configura come una “sottrazione dell’oggetto all’automatismo della percezione”.
Può sembrare una formula oscura, eppure un esempio molto chiaro di questo meccanismo è sotto gli occhi di chiunque decida di sintonizzarsi su Raitre di martedì sera per seguire Report.
La formula di Report, in questa stagione, è una sintesi perfetta di arte e mestiere, una specie di arma a doppio taglio che prima predispone alla comprensione e quindi informa.
Nella prima parte della trasmissione si compie lo straniamento: Marco Paolini, attraverso i suoi monologhi, mette in scena il tema della puntata “estraendolo “dal proprio contesto e proponendolo sotto una luce diversa, imprimendogli delle cifre emotive nuove che costringono lo spettatore ad abbandonare i suoi automatismi mentali per cercare un nuovo livello di comprensione.
A questo punto ha inizio la seconda parte del programma, quella che informa: il reportage. Un lungo servizio che affronta il tema della serata immergendosi nella realtà, indagandola con imparzialità ma anche con un rigore esemplare.
Si tratta sempre di lavori giornalistici di qualità, che devono la propria accuratezza anche alla forma di produzione utilizzata, assolutamente innovativa nel panorama italiano. Gli autori dei servizi sono freelance che autoproducono i propri filmati sotto la supervisione dell’autore della trasmissione e quindi li vendono alla Rai senza alcuna intermediazione, abbattendo i costi e mantenendo al contempo assoluta libertà di azione.
Il risultato è uno dei pochi format originali ed efficaci nel panorama televisivo italiano. Una specie da proteggere.
Tratto da www.hideout.it
Capire, criticare, divertirsi, non assuefarsi è benessere
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