Domani 15 gennaio, Happy Days compie 30 anni. Era il lontano 1974 (il 1977 in Italia) quando le prime puntate che vedevano protagonisti Fonzie, Richie e compagnia, andarono in onda. La produzione del celebre telefilm ambientato negli anni ’50 durò ben 10 anni. Poi cominciarono le repliche. E non si fermarono più. Ed ecco che in qualunque momento dell’anno negli Stati Uniti (all’interno dei programmi dell’ABC), in Italia e in molti altri paesi, osservando bene i palinsesti, si scoveranno i celebri “giorni felici”.
In realtà la serie nacque nel 1971 con una puntata pilota intitolata “A new family in town”. Lo sceneggiato doveva durare solo 13 puntate, ma in seguito allo straordinario successo, fu ribattezzato Happy Days e fu trasmesso, come detto, a partire dal 1974. Alla fine furono girati ben 255 episodi.
I festeggiamenti per il trentennale sono iniziati da mesi. Già nel settembre scorso, infatti, il cast al completo si è riunito a Los Angeles. C’erano proprio tutti: dal regista premio Oscar per «A Beautiful Mind» Ron Howard, oggi 51enne, alias Richie, a Henry Winkler, ovvero Arthur Fonzarelli detto Fonzie, attore e produttore. Ruolo che all'epoca gli valse due Golden Globe. E poi Marion Ross (mamma Cunningham), Tom Bosley (papà Cunningham), Scott Baio (Chachi), Erin Moran (Joanie, sorella di Richie), Don Most (Ralph Malph) e Anson Williams (Potsie).
Come nel 1992, il 3 febbraio 2005 l’ABC trasmetterà uno speciale dedicato alla festa. La puntata commemorativa sarà un mix di vecchie clip e qualche nuovo sketch.
Ma cosa si nasconde dietro ad un successo così longevo? Come mai ancora oggi le avventure dei ragazzi degli anni ’50 riscuotono tante simpatie? Secondo noi, tra i segreti del successo di questo telefilm, va menzionata la delicatezza e la “leggerezza” con cui venivano raccontati problemi e avventure di giovani e meno giovani. Laddove leggerezza era sinonimo di sensibilità, di tatto e non di quello sciocco vuoto esistenziale che sempre di più viene associato a questo concetto.
Happy Days fu l’antesignano dei telefilm di genere come Beverly Hills, Dawson Creek e Orange County. In particolar modo Beverly Hills tenta di ricalcare la sua formula, pur virando il tono ironico che lo contraddistingueva in un tono più serio e drammatico. Operazione che, da un veloce confronto tra i personaggi, notiamo non essere riuscita al meglio.
In Dylan, il ragazzo più "vissuto" e affascinante di Beverly Hills, ad esempio, è facile riconoscere il leggendario Fonzie. Mentre, però, Fonzie, con la sua giacca di pelle e i suoi modi esagerati, pur volendo apparire una parodia di un certo modo di essere, risulta un personaggio profondo e complesso, Dylan, da parte sua, tentando di rappresentare un personaggio profondo e complesso, finisce con l'essere una grottesca parodia (che gli è valsa la partecipazione ad uno dei film di Natale di Boldi e De Sica). Brandon incarna un Richie anni ’80, ma meno spensierato e più viziato, mentre Brenda, la sorellina ribelle e trasgressiva, finisce per rappresentare un modello perdente, proprio laddove la timida e un po’ sfigata “sottiletta” (la sorella di Richie) era fondamentalmente una vincente critica e acuta. Mentrre il biondo Steave rappresenta un Ralphie meno demenziale e più demente. E così via.
I telefilm che sono seguiti hanno rappresentato in modo sempre più stereotipato i giovani di oggi, come egregiamente illustrato da Claudia Bruno - sempre sulle nostre pagine - in un articolo su Orange County (vedi link a destra).
Al degrado imperante forse fa eccezione Dawson Creek, che recupera un po’ della magia e del sogno tipica delle avventure ambientate nella Milwaukee degli anni ’50.
Ma nessuno è più riuscito a divertire e raccontare una generazione con l’abilità dei produttori di Happy Days. Quindi ora smettete di leggere, spegnete il computer e accendete la televisione. Se siete fortunati, su qualche canale misterioso, a qualche orario improbabile, troverete Fonzie che schiocca le dita.
Ehi…
Capire, criticare, divertirsi, non assuefarsi è benessere
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