“Bahamut”, ultima tappa di una trilogia avviata con “Pitecus” e “Io”, è una creazione liberamente ispirata ad una creatura mitica citata da Borges nella sua personale e fantascientifica cosmogonia del Manuale di zoologia fantastica: un pesce colossale che porta sulla schiena il toro dai diecimila occhi che sostiene a sua volta la terra.
Tale ispirazione, tuttavia, sembra quasi un pretesto, un punto di partenza da cui subito ci si perde per far posto agli innumerevoli personaggi (sur)reali impersonati da Rezza, alle loro storie senza storia, ai loro gesti strampalati, alle loro maschere deformate. Il richiamo a Borges, in questo lavoro, vale soprattutto per il modo di creare, di procedere per stratificazioni visive e mentali: ”Lo ammetto: il significato c’è, ma non mi dispiace che in scena sia scavalcato dalla forma”.
In una scatola con scivolo appena delineata, pensata come un grande giocattolo – la scenografia ideata da Flavia Mastrella – dove nessuna linea è parallela all’altra, ”metallo, legno, stoffa verde e aria” si mescolano. Qui dentro (e fuori) prendono vita le assurde figure animate da Rezza, a partire dal tirannico e capriccioso uomo vestito da supereroe, costretto a stare sdraiato, a vedere il mondo quasi solo da quella posizione. Due giovani al suo servizio lo portano qua e là come un fardello e mettono in moto le possibilità meccaniche della struttura, ruotando le tende leggere e svolazzanti che chiudono la scatola.
E l’istrionismo di Rezza va avanti in modo sempre più visionario, giocando con le più disparate categorie umane. Dal nanetto ”più basso delle sue ambizioni, che usa lo scuro per fare, e la luce per dire”, che sorprende il pubblico nel buio, apparendo all'improvviso dove meno te lo aspetti, al Signor Porfirio con consorte, venditori di abiti e tessuti. Da Bahamut, l’essere supremo, che dopo una breve apparizione si sottrae al tempo e al giudizio, fino all’uomo che cercava Dio e si ritrova in una località turistica a fare lo slalom gigante, fino addirittura ad un cucù.
Le invenzioni sceniche sempre nuove tengono gli occhi degli spettatori incollati. Le sue studiatissime sperimentazioni vocali (“Io sono il mio tamburo e mi suono al ritmo mio”) danno vita a urla, versi, suoni irresistibili. Il suo vocabolario inesauribile e sempre sorprendente dà vita a una grammatica tanto stralunata quanto rigorosa.
Antonio Rezza si conferma un animale da teatro, in continua ricerca di nuove espressioni facciali, con le incessanti trasformazioni del suo corpo elastico, dinoccolato, funambolico, che si contorce, saltella, si allunga o diventa piccolissimo.
La sua personalissima forma di espressione teatrale lo ha ormai imposto sulla scena da parecchi anni. L’indissolubile coppia Rezza-Mastrella porta in scena un teatro del disturbo, ironico e graffiante, che si può considerare vera e propria avanguardia.
Attraverso il suo caratteristico linguaggio irriverente, Rezza riesce a gettare in faccia agli spettatori tutto il suo malessere e a riceverne indietro risate. Ovunque vada, del resto, ha un suo pubblico affezionato e numeroso, che sa che bisogna prepararsi ad ogni tipo di sorpresa e stare al gioco.
Per scelta, le messe in scena di Antonio Rezza e Flavia Mastrella rappresentano una mina vagante entro il tranquillo calderone della comicità di casa nostra. Nel loro teatro l’assurdo è lucidissimo. Mai non senso fu più sensato.
BAHAMUT di Flavia Mastrella e Antonio Rezza
con Antonio Rezza
e con Ivan Bellavista e Giorgio Gerardi
liberamente ispirato al “Manuale di zoologia fantastica” di J.L. Borges
scenografia di F. Mastrellaregia di F. Mastrella e A. Rezza
Roma, Teatro Vascello, via Giacinto Carini 78
dal 27/11/07 al 23/12/07
dal martedì al sabato ore 21, domenica ore 17
tel. 06 5881021
biglietti: intero 20 euro, ridotto 15 euro
Amare l'arte è benessere
|
|