Gran coraggio, quello di Celentano, a metter su due ore di spettacolo senza un copione vero e proprio, senza il pubblico a battere le mani e a fare da rete per il trapezista. La solita convinzione sua nel fare qualcosa come la pensa, anche se nessuno (prima) sembra capire cos’è che vuole fare. Un programma-lancio del nuovo disco. Certo. Un lancio del nuovo disco pagato coi soldi del contribuente (per chi contribuisce). Ovvio. Però un buon intrattenimento, un lavoro d’artista più che cantante o uomo di spettacolo.
L’artista è uno che osa, che fa tentativi, che ha una visione e tenta di dare corpo a un’idea di mondo interiore. E infatti Celentano ce l’ha un’idea di mondo ed è questo che sostiene nei suoi famosi e attesi ‘sermoni’. Non è che faccia la morale, non è che prenda posizioni politiche come poi le intendono il giorno dopo i quotidiani.
Persino se fa l’elogio della ‘prudenza’ a Prodi, persino se bacchetta l’orrore delle scelte architettoniche del Comune di Milano. Adriano non parla come uno che ha parti o interessi da difendere. Lui ha un ricordo del mondo da conservare, un mondo che è di tutti, quello dell’infanzia: c’era in quel mondo un'altra maniera di stare insieme, di parlare, di passare pomeriggi e serate anche senza avere progetti precisi e appuntamenti.
Si stava insieme per cantare, raccontarsi storie non tanto intelligenti, essere semplici -se stessi- ragazzi di quartiere, un po’ ai bordi di periferia. Ed è da ragazzo cresciuto che Celentano ragiona, come uno che non voglia vedersi cancellare l’immagine che ancora gli tiene il cuore in caldo: l’idea di comunità che ha ispirato il suo Clan. Che abbia o meno ragione a dire che solo un deficiente può rapportare il benessere all’altezza di un grattacielo, che si sia d’accordo con lui a dire che le scorie nucleari sono un buon motivo per non volere il nucleare ognuno lo giudichi da sé, privatamente. Però che a ognuno di noi, qualche volta, venga su la nostalgia di un tempo in cui i ritmi della vita e dei rapporti avevano andamenti diversi è indubbio.
Il tempo più che la direzione politica è stato al centro del duetto con Fabioz: noi tutti, a diversi gradi sociali, abbiamo dell’esistenza un’idea breve, veloce, da consumare in fretta. Tutte le scelte, da quelle personali a quelle politiche, vengono prese sull’onda di questa inutile urgenza e senza la minima prospettiva.
Un Paese che non pensa a lungo termine è un luogo che non ha più speranze né mezzi, un posto in cui diventa pericoloso vivere poiché ciò che ha valore smette di averlo. Poiché ciò che ha valore prevede la durata, che ci sia un domani. Freccero ha commentato il successo d’ascolti motivandolo col gran polso che Celentano ha degli italiani e delle cose che sono nell’aria: insomma, come a dire che Adriano più di chiunque altro, più dei vertici di Viale Mazzini, più delle teste di legno che l’azienda paga per fare trasmissioni tutte uguali e perdipiù banali, capisce cosa vogliono gli spettatori, pagatori di canone.
Forse ha ragione. Il problema, quindi, non è se il disco di Celentano, dopo la trasmissione, venderà milioni e milioni di copie. Il problema è che ‘la situazione di mia sorella non è buona’ e nessuno sembra prendere sul serio la cosa.
Capire, criticare, divertirsi, non assuefarsi è benessere
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