La recensione di Giancarlo Simone Destrero, VOTO 4,5
Un’antica urna legata ad una bara, e contenente il mantello ed alcuni oggetti appartenuti a Mater Lacrimarum, viene rinvenuta e dissotterrata poco fuori le mura del cimitero di Viterbo. Il rinvenimento scatena una serie di eventi terribili e malvagi, il male torna ad oscurare Roma, città in cui da secoli si nasconde la terza madre, l’unica sopravvissuta delle tre streghe che da secoli spargono il male ed il dolore in tutto il mondo. L’urna arriverà nelle mani di Sarah Mandy, giovane restauratrice archeologica, che attraverso un’escalation di violenze e di rivelazioni verrà a conoscenza del suo inevitabile destino.
L’impero del bene coi suoi rappresentanti terreni, senza macchia, in tonaca nera contro l’occulto non integrato e, quindi, maligno ed anticristiano. Una predestinata, che viene a conoscenza della propria condizione di ultimo baluardo del bene, grazie ad un sommario apprendistato magico, nonostante lo scetticismo iniziale su tutto ciò che non è scientificamente dimostrabile. L’assoluto essere malvagio, vivente su questa terra, che è causa dei mali del mondo occidentale e che dovrà essere sconfitto mortalmente per evitare che imponga la sua nefasta tirannia sul mondo. Lo scontato scontro finale fra questi due personaggi.
Questa la banalità drammaturgicacui si riduce l’ultimo capitolo della trilogia delle tre madri di Dario Argento. Una storiella tanto semplice e prevedibile che sgretola l’aura di soprannaturale che dovrebbe permanere attorno al tema, rendendo il tutto risibile, a causa di una presunzione mistica e dei sensazionalistici espedienti sanguinari.
Ventisette anni -tanto il tempo trascorso da Inferno che è il secondo dei tre film- di gestazione, hanno trasformato le suggestioni atmosferiche e l’ineffabile mistero, che erano la vera forza di quei film del regista romano, in un’accomodante suspence da fiction televisiva.
Un compiacente manierismo che vuole dare in pasto agli spettatori l’evento tanto atteso in un formato convenzionale, seppur sedicentemente orrorifico. Ma l’orrore in questo caso, e come capita ai film di Argento da almeno vent’anni, è pura pornografia, assoluta incapacità di andare a fondo e scuotere le corde irrazionali del pubblico.
Non che il regista abbia mai avuto pretese filosofiche o abbia sfruttato una storia in maniera pretestuosa ( il suo cinema è stato sempre fatto per spaventare, per creare suspence e per inquietare con le situazioni ed il materiale messo in scena), ma basta confrontare questo film con gli altri due, il primo è Suspiria, il più riuscito dei tre, per capire come la necessaria terapia filmica che Argento inventava liberamente per dar sfogo ai propri incubi, e che sostanziava il film della sua personale originalità, si sia pacificata con il contemporaneo piattume di genere cinetelevisivo, destinato ad ogni tipo di mercato.
Certo resta magistrale la disinvoltura tecnica dei movimenti di macchina con cui Argento racconta la storia e porta avanti il film, anche se proprio l’utilizzo canonico degli spazi, in concomitanza con quello della luce, sembrano essere due concause della scarsa incisività de La Terza madre. Un velo pietoso sulla recitazione di Asia Argento, che sembra sempre essere capitata nel film per caso; mentre l’apparizione della terza madre sullo schermo non fa altro che conturbare gli spettatori maschili, distraendoli dal già debole climax di paura, sciogliendo la vicenda in un’orgetta visiva da thriller erotico di serie b.
(05/11/2007)
Amare l'arte è benessere
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