La recensione di Stefano Zoja, VOTO 4
Il ritrovamento accidentale di un’antica urna scatena per le strade di Roma la furia sopita di Mater Lacrimarum (Moran Atias), una potente strega nera. La città è percorsa da un vortice di follia violenta, mentre giungono da ogni parte del mondo personaggi inquietanti per inaugurare l’imminente “seconda era delle streghe”. Sarah (Asia Argento), studentessa di archeologia, non conosce i suoi poteri di strega bianca, ma con l’aiuto di alcuni esperti di esoterismo imparerà a dominarli e combatterà Mater Lacrimarum.
Realizzato ventisette anni dopo Inferno (1980), con questo capitolo Argento chiude la “Trilogia delle madri”, che si era aperta con Suspiria nel 1977. Un appuntamento atteso, per il quale Argento ha puntato alto e ha chiamato a raccolta aficionados e critica, quasi a dimostrare l’infondatezza del loro sconcerto di fronte ai film più recenti, con l’improbabile Il cartaio, buon ultimo. Ma la Terza madre è uno dei punti più bassi della parabola argentiana.
La crisi d’ispirazione che affliggeva Argento da almeno quindici anni e cinque film non si è risolta. A forza di scusare la fragilità delle sceneggiature e degli attori in nome del suo talento visuale, Argento sembra trastullarsi con questo, trascurando oltre il sopportabile le prime. Addirittura qui servono solo dieci secondi di film perché venga ritrovata accidentalmente l’urna dello scandalo. Una decisione in sé coraggiosa, e forse in realtà una delle più azzeccate nello script, che vuole offrire semplicemente sangue e spaventi ed evita esitazioni e intellettualismi. Ma anche una scelta che la dice lunga sulla convinzione di Argento di non essere tenuto a spiegare, a giustificare, a inquadrare gli eventi.
E allora gli snodi narrativi, la costruzione dei personaggi, persino i dialoghi sono striminziti e soprattutto trascurati, pescando con disinvoltura nel clichè e impantanandosi nella comicità involontaria con una frequenza disturbante. Va da sé che recitare (bene) in queste condizioni diventa impossibile. Argento è scivolato dall’essenzialità nella sciatteria e non si capisce se se ne sia accorto.
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