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WARHOL: UN ETERNO STATO DELLA MENTE
La Triennale di Milano presenta la mostra "The Andy Warhol Show" promossa da Chrysler per celebrare l'innovazione, la creatività e l'ispirazione di questa grande artista. La mostra si terrà a Milano dal 22 settembre 2004 al 9 gennaio 2005 negli spazi della triennale che espone Warhol proprio per il suo ruolo rivoluzionario non solo nell'arte ma anche nell'ambito della moda, della comunicazione e della grafica.
Damiano Cristilli

Considerevole il numero di opere presentate da questa portentosa rassegna, la più completa mai realizzata in Italia, che oltre a circa 200 dipinti, è ricca di foto, opere grafiche, copertine di Interview ( la rivista da lui fondata) e disegni, anche giovanili, del periodo in cui lavorava come illustratore per riviste di moda.

Andy diceva che “Pop Art significa amare le cose”. E si spiega forse così perché sia stato un grande dilettante. Gli piaceva fare di tutto. Voleva fare di tutto. Avere di tutto. Era anche un tipo invidioso. Non in senso cattivo, ma era ambizioso. Era il consumatore perfetto. Era il dilettante per antonomasia. Se qualcun altro faceva qualcosa che aveva l’aria di essere divertente e richiamava l’attenzione di tutti, voleva provarci anche lui. Voleva mettere mano a tutto. Aveva una buona mano per disegnare. Il suo tratto nel disegno era personale quanto una firma. Ma la sua mano si è dimostrata straordinariamente versatile.

Andy Warhol è diventato pittore, grafico pubblicitario, illustratore, scultore, produttore cinematografico, video artist, regista pubblicitario (Schraftt’s), produttore televisivo (Andy Warhol’s TV), attore televisivo (The Love Boat), attore cinematografico (The Driver’s Seat, con Elizabeth Taylor), indossatore (Zoli), romanziere (A), filosofo (The Philosophy of Andy Warhol), commediografo (Pork), direttore ed editore di riviste (Interview), conferenziere, grafico, agente di divi (Rent-A-Superstar), fotografo, produttore musicale (The Velvet Underground), manager di pop star (Walter Steding). Tra le sue infinite ambizioni frustrate, interpretare un robot a Broadway e cantare in un complesso rock con Lucas Samaras e Claus Oldenburg.

Andy diceva “Voglio essere una macchina”. Faceva del suo processo serigrafico meccanico una metafora e si compiaceva dell’idea che chiunque potesse farsi i suoi quadri, salvo poi fare un passo indietro quando alcuni suoi collaboratori l’hanno preso in parola e hanno incominciato a raffazzonare i loro quadri alla Warhol, come i ritratti di Che Guevara messi in giro da Gerard Malanga a Roma verso la fine degli anni sessanta.

Andy non tollerava i tecnicismi della paternità artistica, ma ha capito che il severo individualismo del pittore eroico nell’atelier, il mito che imperava negli anni di Pollock, non era un concetto moderno.

Andy ha permesso che chiamassero il suo laboratorio The Factory, “La Fabbrica”, perché gliene piaceva il suono freddo e industriale e gli piaceva l’idea della produzione di massa e dell’anonimato del lavoro collettivo. Un’idea questa che non valeva solo per i dipinti. La casa di produzione di Warhol si chiamava Factory Films e non pochi film fatti da Andy Warhol sono stati girati mentre lui era via o a casa.

Andy Warhol, il marchio universalmente riconosciuto, è quello che in ultima istanza ha fatto salire il valore dei suoi dipinti, dei disegni e delle stampe e l’ha mantenuto alto, apparentemente immune alle alterne vicende che coinvolgono altri artisti in sede d’asta.

Mediante l’enorme produzione nei media più disparati, Andy è assurto a una specie di divinità mediatica. Era qualunque cosa per chiunque, qualsiasi cosa si volesse che fosse. Per alcuni era l’artista che aveva trasformato in arte l’etichetta della Campbell’s Soup. Per altri era il cineasta che aveva fatto Blow Job. Per altri ancora era il tipo tranquillo, ma brillante, con la parrucca che aveva cenato alla Casa Bianca. Andy Warhol è diventato incorporeo nel 1987, ma è rimasto e rimane tuttora l’artista più ambizioso, prolifico e potente al mondo. Ciascun artista a modo suo è immortale, ma "Andy Warhol - come dice O'Brien in Red - è diventato una sorta di divinità olimpica, un dio nel senso dato da Ezra Pound, un eterno stato della mente”.



(13/09/2004) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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