Danilo Viviani, classe 1980, è pittore artisticamente dotato e, per indole personale, incline alle tendenze “naturalistiche” dell’arte figurativa. Diplomato all’Istituto d’Arte di Imperia, nel 2006 ha completato gli studi all’Accademia di Belle Arti di Genova, ove ha conseguito il titolo con il massimo dei voti.
In una connotazione artistico-storica, il suo personalissimo stile si configura come “tramite” fra arte povera, quindi appartenente al passato, e uno, al contrario sempre attuale, sviluppo contemporaneo del tema della natura. Due sono gli importanti argomenti nei quali si articola il percorso di Viviani pittore.
Il primo, fondamentale per la sua “vis artistica”, è la tenace e costante ricerca di uno stile peculiare e inconfondibile, che si sublima nello sperimentare la modernizzazione e lo sviluppo dell’arte povera e della materia, facendole convergere in un un’unica essenza. La modernizzazione deve essere intesa come la creazione di un nuovo linguaggio originale.
È dato di fatto che negli ambiti artistici non vi siano molti “addetti ai lavori” che utilizzano vegetali per la realizzazione delle loro opere. La ricerca del proprio stile porta infatti ad un percorso del tutto individuale e esclusivo, che diversifica il lavoro da quello già prodotto da altri. Per conseguire un’evidente matericità nelle opere, l’artista si propone di raffinare tutto ciò che si presenta come sostanzialmente grossolano e arbitrario. I due concetti hanno senso in quanto rappresentazione della materia “selvaggia”, della cultura e della tradizione dei popoli “primitivi” e di quante altre associazioni si possano concepire.
Non è un caso che il giovane Viviani si ispiri a grandi pittori quali Alberto Burri e Antoni Tàpies, ovvero a stili ove risalta la combinazione di composizione formale e di processo casuale, a cavallo tra l’arte informale e di pura astrazione e l’arte povera. I suoi dipinti incorporano segni e tracce, evidenze, riduzioni e assemblaggi. La tramatura è talvolta analoga a quella burriana, ma più elastica e irregolare, le superfici non suggeriscono profondità, non impiantano, non fondano, non trattengono in alcun modo l’oggetto, ma si limitano ad appoggiarlo, a lasciarlo scorrere lungo una direzione che è transitoria, come si riscontra talvolta nei lavori di Robert Rauschenberg, altro grande del quale apprezza gli stilemi.
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