I corpi degli attori-danzatori, mostrati in diretta o ripresi da una telecamera a circuito chiuso, partono instancabilmente da una gestualità banale che, mano a mano, si manifesta come espressione complessa e completa.
La Clè du Chapiteau sarà in scena dal 12 al 23 giugno.
Uno spettacolo che ha debuttato nel 1999 e che è stato replicato molte volte.
Il Circo come metafora della vita e viaggio nell'immaginario, come spazio vuoto dove gli attori di Grock sanno muoversi con raffinatezza e audacia, in questo regno dei contrasti dove i lustrini si mimetizzano con la segatura, la ricchezza dei costumi si contrappone alla sobrietà assoluta di una vita nomade; gli stessi numeri possono essere pieni di sublime poeticità o di spiazzante rozzezza, ogni cosa ci appare assolutamente astratta e concreta al tempo stesso.
Un tendone così fortemente legato alla terra, con chiodi, paletti, fili annodati che sembrano volerlo schiacciare al suolo per la paura che, come una mongolfiera, voli via. Non hanno la pretesa né l’ingenuità di voler rappresentare il Circo a teatro ma solo il desiderio di raccontare qualcosa di loro attraverso il Circo: il bisogno di uno spazio, di un pensiero, di un respiro differente.
"Il Circo esige un’attenzione intensa, assoluta; è una dichiarazione d’amore, la nostra, per un mondo, delle persone, uno spirito, un modo di intendere le cose “necessario”, semplice, non influenzato dalle mode né da vani intellettualismi. Il Circo è quello, da sempre: fuori i rumori assordanti e dissonanti, dentro la certezza genealogica che viene dai millenni, il costante equilibrio fra l’esattezza, la metodicità dei “numeri” e il rapporto con il rischio, la paura di cadere.”
Amare l'arte è benessere
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