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Poi la crudeltà della sopravvivenza, le crisi, gli sconvolgimenti rivoluzionari e le restaurazioni, materiale che sembra dare un senso d’equilibrio al caos della vita sociale che si perpetua sempre a scapito dei molti, nonostante i cambiamenti politici. L’unica macchia - non stilistica ma etica - de L’ultimo inquisitore può essere quella di non sviluppare troppo le nobili motivazioni degli animi rivoluzionari, nella seconda parte del film, col rischio di appiattire tutte le cause ideologiche in un metafisico fatalismo.

Una nota di merito va anche ai dettagli della pellicola dove si mostrano con dovizia di particolari, merito di una notevole ricerca sugli usi contingenti, i procedimenti pittorici e di stampa dell’epoca. L’atelier del pittore e il suo lavoro in esterno, nelle corti, nelle stanze dei grandi palazzi reali.

I mezzi di tortura utilizzati dall’inquisizione cattolica e le carceri dove erano rinchiuse le innocenti vittime di quella follia. Un’ultima considerazione: la scena finale, per chi ama il simbolismo delle immagini, è uno straordinario compendio visivo dell’essenza delle diverse manifestazioni umane che Forman ha precedentemente contestualizzato nei 117 minuti del film.



(04/05/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

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