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RICORDANDO LUIGI COMENCINI
SESSANT'ANNI DI GRANDE CINEMA ITALIANO

Sessant'anni di grande cinema italiano hanno avuto fra i protagonisti il regista Luigi Comencini, che è mancato da poche settimane.

Miriam Giudici

Luigi Comencini si è spento poche settimane fa, a 91 anni: gli ultimi sessanta li ha dedicati al cinema, lasciando il segno in tutte le “epoche” che hanno caratterizzato il cinema italiano, figurando addirittura come uno dei padri della gloriosa commedia all'italiana.

Nato a Salò, il giorno 8 giugno 1916, Comenicini si dedica inizialmente agli studi di architettura, e prima di diventare regista è giornalista e critico per “L'Avanti” e “Il Tempo”. Il suo debutto sugli schermi è con un documentario, Bambini in città (1946), e il suo primo lungometraggio è del 1948, Proibito rubare: due lavori incentrati sull'infanzia difficile dei bambini del dopoguerra, con uno sguardo sulle giovani generazioni che Comencini manterrà costante per l'intera sua carriera.

La sua fama di “regista per ragazzi” si consolida infatti con diversi film per il cinema e per la televisione, da La finestra sul luna park (1956), a Incompreso (1964), a Voltati, Eugenio (1980), alla serie Cuore (1984), con Johnny Dorelli ed Eduardo De Filippo. Ma il suo maggiore successo in questo filone è certamente un film che è rimasto impresso nella memoria di più di una generazione: Le avventure di Pinocchio (1971), con un indimenticabile Nino Manfredi nella parte di Geppetto e Franco Franchi e Ciccio Ingrassia a interpretare il Gatto e la Volpe.

Ma il cinema per ragazzi, o sui ragazzi, non è l'unico genere in cui Comencini è destinato a lasciarci delle pellicole indimenticabili. Lo sguardo sui bambini non è che uno dei risultati dell'attenzione del regista per tutti gli “ultimi”, per tutti i personaggi indifesi e “piccoli”.

Ritroviamo infatti il regista, negli anni in cui gli stenti del dopoguerra sono quasi alle spalle ma il “boom” non è ancora arrivato, fra i maggiori esponenti di un genere che racconta moltissimo di quegli anni ed ultimamente viene riconsiderato dalla critica: il cosiddetto “neorealismo rosa”, che all'impegno nel ritrarre le condizioni di vita e i costumi delle classi meno privilegiate unisce anche una risposta alla voglia di evasione di un pubblico che non vuole più solo rivedersi ritratto sullo schermo, ma vuole anche divertirsi e sognare.

Con questo pubblico in mente, con la voglia di soddisfarlo ma anche di formarlo, Comencini gira quello che è forse il suo film più universalmente noto: Pane, amore e fantasia (1953), splendida commedia che non offre solo le magnifiche interpretazioni di Vittorio De Sica e della “bersagliera” Gina Lollobrigida, non solo belle storie d'amore dove “tutto è bene quel che finisce bene”, non solo le risate offerte dai vivacissimi personaggi minori (con una Tina Pica indimenticabile): ma offre anche uno spaccato veritiero di quell'Italia che stava faticosamente uscendo dalla distruzione della guerra e in cui qualcosa cominciava a cambiare anche sul piano dei costumi.




  
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