Vita di Galileo è un ottimo esempio di cosa il teatro dovrebbe sempre essere. Un’arte capace di riflettere e di far riflettere sui grandi temi dell’esistenza. Avere il coraggio di discutere, attraverso il meccanismo drammaturgico e non senza prendersi qualche rischio, sulle domande ultime dell’intelligenza umana. Bertolt Brecht, in questo testo, prende per protagonista un drammatico eroe moderno –il grande scienziato pisano- e ne fa un simbolo politico ed esistenziale, allo stesso tempo.
L’autore tedesco, infatti, si augurava di mostrare come la società estorca ai propri individui quanto da essi le serve. Da una parte, dunque, l’eroe è mosso dalla sete di verità e di giustizia e non intende sottostare a nessun tipo di falsa verità istituzionale, qui rappresentata dal dogma della chiesa cattolica, a beneficio di un miglioramento culturale e sociale dell’umanità; dall’altra parte, il dramma dello scontro frontale, contro l’interessata arretratezza mentale imposta dall’egemonia clericale, riduce l’eroismo di Galileo ad un più umano e comune istinto di sopravvivenza.
Un eroismo che, pur se stride con la malaugurata sventura di una terra che ha bisogno di eroi, è necessario per muovere e far progredire le coscienze e le conoscenze umane. E che, tuttavia, rimane fedele alla continuità umanistica del bagaglio di nozioni conoscitive acquisite e tramandate, prima per via intuitiva e poi scientifica. Il Galileo di Brecht, per esempio, cita continuamente Giordano Bruno, tributandogli un elogio sensitivo che è ai confini della scienza.
Le domande ultime che una mente umana possa porsi, dicevamo. Il senso della scienza, una necessità di sapere che, come dice l’autore stesso, è un impulso, connaturato all’uomo, non meno voluttuoso e tirannico dell’impulso sessuale; la sua etica, quindi, in un monito costante sui limiti rischiosi e tragici dove la ricerca scientifica può portare; la dimensione umana nel contesto del sistema eliocentrico; la dimensione divina e la sua stortura terrena. Nell’allestimento dell’opera, affidato alla regia di Antonio Calenda e ad uno dei maggiori protagonisti della scena nazionale, Franco Branciaroli –che dà vita ad uno sfaccettato Galileo- la scelta è quella di rendere protagonista l’ossessione dello scienziato: il firmamento.
La bellissima scenografia dà a quest’ultimo un incombente ruolo primario e mette in risalto la piccolezza e la precarietà dell’essere umano, pur nei suoi più nobili e validi propositi, al cospetto del cosmo. Un trasparente fondale azzurro cielo, dove sono dipinte le nuvole e le stelle, che tiene sempre presente sulla scena il mistero delle meccaniche celesti. Al centro di esso una grande porta secentesca, dalla quale entrano ed escono gli attori, che può rappresentare quel tramite conoscitivo, tra questo mondo e l’immensità dell’universo, che Galileo si sforza tutta la vita di attraversare.
Una parvenza dello straniamento recitativo -teorizzato da Brecht- compare sulla scena negli intramezzi delle tappe storiche raccontate, dove gli attori, che poi reciteranno in quella stessa scena, annunciano ciò che andrà a succedere nella rappresentazione, con una partecipazione emotiva che è quasi un commento alla storia. Il dirompente inserto finale, voluto dallo stesso Brecht dopo la seconda guerra mondiale, concretizza tutte le inquietudini disseminate nel testo e ci mostra il perenne pericolo che il genere umano porta con sé.
luogo: Teatro Argentina di Roma
quando: dal 20 Marzo al 1 Aprile, ore 21
info: ufficio promozione teatro di Roma: tel 06684000346 – fax 06684000360
biglietteria: tel 06684000345(ore 10-14; 15-19, lunedì riposo), prezzi: da 10 a 26 Euro
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