““Il mio grande desiderio era fare la scrittrice” esordisce Erica Jong nella prima pagina della prefazione del suo “diario di viaggio”: un libro per scoprire se stessa nel tempo, per guardare all’infanzia con occhi di donna e valutare se stessa in una sintesi densa di valori da tramandare.
Un testo per parlare alle donne, tra donne. Ed Erica Jong vola, con la fantasia – perché scrivere è come volare -, sul passato e sull’infanzia, sul suo ruolo di adolescente e del primo scontro tra donne, il più difficile: madre e figlia. Si profila, così, la figura di una madre presente ma discreta e il nascere di una conflittualità tipica di quell’amore ancestrale che lega una madre ed una figlia e che si oppone alla vanità imperante propria delle donne. Quello tra le due è un rapporto strano, fatto di mutevoli passioni e di impetuose contraddizioni.
L’autrice, ormai madre a sua volta, viaggia attraverso gli anni per ricordare com’era difficile essere una donna in crescita a cospetto di una donna imponente come solo una madre sa essere: “mia figlia oggi impreca contro di me, come io una vola imprecavo contro mia madre […] Aspetta di avere una figlia anche tu, penso. Ma non sono tanto sciocca da dirglielo”. Percorriamo le stesse strade ed imperterrite, noi figlie, fingiamo di non sapere che è stato così anche per le nostre madri. “E credevo naturalmente di essere la prima figlia della storia a provare quei tumultuosi sentimenti nei confronti della propria madre. […] Eppure, lei accoglieva i miei eccessi con amore. Ed è stato il suo amore a farmi libera”. Così, cresciamo e ci facciamo donne e ci pavoneggiamo della nostra incommensurabile sofferenza cieca al cospetto del mondo circostante.
Il discorso poi si estende a tutte le donne, ad una riflessione sul femminismo, sulla sua decadenza, sul ruolo della madre e dell’apparente contrasto fra questo ruolo e l’essere donna. Senza contare inoltre l’amore per la scrittura, per questa strana e personalissima forma di comunicazione, l’essere una scrittrice e dover fare ordine nei sentimenti contraddittori di un’artista per poter svolgere anche i compiti quotidiani che spettano ad ogni persona: Erica Jong affronta così il contrasto – reale o immaginario – tra la bellezza e l’intelligenza e lo scarto che la società patriarcale impone in merito.
Ed ecco d’improvviso che ci troviamo invischiati nelle note sinuose di un’analisi letteraria della Lolita di Nabokov: il contrasto assoluto tra amore ed ossessione, la sintesi della colpa dell’amante e di quella dell’amato. E, piano, quasi senza accorgersene, si cade nella retorica dell’uomo perfetto: “L’uomo perfetto – per ogni donna – è l’uomo che la ama devotamente e la scopa spesso, bene e con passione, che la adora e la ammira, che è affidabile ed eccitante al tempo stesso. […] E’ possibile trovare tutte queste qualità in un uomo? Assai improbabile! E anche ammesso che le trovassimo, resisterebbero a tutte le traversie della vita? Davvero improbabile. […] Una soluzione potrebbe essere avere due o tre uomini simultaneamente”.
L’autrice ha così modo di affrontare il problema della performance sessuale e ci mostra un mondo popolato da stereotipi dove anche l’unione di coppia è ormai un ambito competitivo e motivo di stress; questo, dice, annulla il nostro bisogno di mistero e pericolo nella vita cruciale per il divertimento e il conservarci giovani.
E’ difficile tirare le somme. E’ difficile perfino trovare una conclusione. Perché, in queste pagine, di tanto discutere e rendersi consapevoli della vita vivendo, non ci rimangono che piccoli schizzi di caustica verità che ci accompagneranno fin dentro i momenti più oscuri della nostra esistenza e ci costringeranno a riflettere sulle nostre posizioni.
“Non so esattamente come scrivere possa cambiare il mondo ma sono convinta che avvenga”.
Amare l'arte è benessere
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