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Questo principio portava Hemingway durante la scrittura a togliere piuttosto che ad aggiungere, ad omettere piuttosto che a spiegare. Così facendo molti dei suoi racconti trovano il loro meglio, come osserva acutamente Garcia Marquez, “nell’impressione che suscitano di qualcosa in meno”, di qualcosa che manca e che finisce per “conferire loro mistero e bellezza.”

Come in ogni raccolta, anche qui ci sono dei racconti che catturano l’attenzione del lettore più di altri, che sembrano invece scivolare via. C’è chi preferisce il nucleo dei racconti di Nick Adams, alter-ego dell’autore, chi rimane abbagliato dalla diretta e dura concezione della vita espressa nella Breve vita felice di Francis Macomber, chi non smette di rileggere il dialogo teso e indimenticabile di Colline come elefanti bianchi, e così via.

Anche noi, per parte nostra, se fossimo obbligati a scegliere un racconto non avremmo dubbi; sceglieremmo quello in cui si rispecchia in maniera più memorabile l’incubo del nulla che assediò Hemingway fino alla morte: Un posto pulito, illuminato bene. Mai come in questo breve racconto di appena cinque pagine, contraddistinte da una quotidiana lucidità disperata, abbiamo ritrovato di fronte ai nostri occhi la visione di quel niente che conosciamo “troppo bene”, quel niente di cui paradossalmente siamo fatti e con il quale in certe notti insonni ci ritroviamo a fare i conti.





(12/08/2004) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

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