I restauratori inglesi hanno lavorato nel castello di Windsor per più di due anni e il risultato è stata la scoperta di segni inequivocabili della mano del maestro lombardo e quindi la consacrazione dell’opera da copia a originale, con sorpresa della maggior parte degli storici dell'arte.
Il privilegio concesso a Roma di esporre il “nuovo” Caravaggio è certamente un omaggio alla città in cui il pittore lo ha dipinto. La presentazione a Londra, insieme alle altre opere italiane restaurate della collezione reale, avverrà a Buckingham Palace (dal 30 marzo 2007) e, fra le due presentazioni, si sta cercando di portare la “Vocazione” anche a Milano.
Per celebrare come si deve la “Vocazione” ritrovata, sono stati riuniti nella stessa mostra altri rari dipinti di Michelangelo Merisi, solitamente non accessibili al grande pubblico. Si può così ammirare il realismo espressionista de “Il Cavadenti” (da Palazzo Pitti a Firenze), scena di vita quotidiana del 1600: un dentista, allora figura a metà tra il chirurgo e il barbiere, il più delle volte un impostore che imbrogliava i poveri e gli ignoranti, è alle prese col suo cliente urlante.
Da una collezione privata di Princeton arriva il “Sacrificio di Isacco”, che illustra il momento in cui l’angelo del Signore si manifesta e porta l’ariete da sostituire nel sacrificio. La luce diagonale che illumina solo chi già appartiene al mondo divino ha la stessa valenza simbolica usata nella “Vocazione”.
Il “San Giovannino alla sorgente” (da una collezione privata di Varese) ritrae, in una rappresentazione assai singolare e fortemente umanizzata, il giovane santo assetato che beve alla fonte.
Tirando le somme, dunque, le opere esposte fanno venire letteralmente la pelle d’oca. L’allestimento... qui, come al solito, casca l’asino.
Ciascuna tela è esposta in una stanza-nicchia, interamente blu. E ciò rappresenta una nota positiva dato che si dà il giusto risalto ad ogni opera (del resto, il numero esiguo dei dipinti in mostra lo consente). La vera e propria “calamità” è l’illuminazione, che qualcuno, nel registro dei commenti dei visitatori, ha giustamente definito “scandalosa”. Passi il buio, che fa tanto chic, fa concentrare sulle opere e suggestiona, ma quando il buio è talmente pesto che non rende merito ai mirabolanti effetti di luce caravaggeschi, qualcosa non va per il verso giusto. E che non si giustifichi la poca luce con il pericolo di deterioramento delle superfici pittoriche, perché da anni le più sofisticate tecniche di illuminazione non-invasive sono usate in musei e mostre di un certo calibro.
Un discorso a parte lo meritano i pannelli, o meglio - concedetemi l’italiano poco ortodosso - i “pannelloni” esplicativi delle singole tele. I testi, lo si deve riconoscere, sono scritti in modo chiaro, fluente e sono esaustivi. Il problema è la loro “impaginazione”: fiumi di parole ininterrotte, scoraggerebbero chiunque (ci si sforza di leggerli per intero, dato che, per fortuna, le opere sono solo quattro...). Ci viene in mente, allora, a noi che qualche testo di museologia lo abbiamo sfogliato, che i curatori di questa mostra non abbiano conoscenza del cosiddetto “metodo Ekarv” (pochissimo noto in Italia, applicato ormai puntualmente pressoché in tutti i musei europei e mondiali).
Il metodo (Metodo Ekarv) suggerisce delle norme da adottare nei testi esplicativi dei musei, per renderne la lettura più agevole e per permettere al visitatore di assorbire i concetti rapidamente. Esempio: suddividere i testi in piccoli paragrafi di 4-5 righi; effettuare una sintesi che condensi il significato di più parole in un concetto; sistemare la punteggiatura in modo da assecondare le pause naturali e il ritmo della lettura, etc. Al “Gate” di Termini i testi sembrano scritti appositamente al contrario di quanto suggerito dalla Ekarv, e anche in modo contrario ad ogni buon senso.
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