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IL GIARDINO DELL'ELFO. RIVISITANDO CECHOV
A Milano, per Tetaridithalia, “Il Giardino dei Ciliegi”, rivisto ma non poi così tanto corretto da Ferdinando Bruni. Fino al 3 dicembre al Teatro dell'Elfo.

Damiano Cristilli

«L’artista non deve essere il giudice dei suoi personaggi né di ciò che dicono, ma soltanto il testimone imparziale, se nella vostra storia descrivete un fucile, questo poi deve sparare»

Stupore. E’ la prima sensazione che si prova assistendo all’ultima produzione dei Teatridithalia, Il Giardino dei Ciliegi, stupore per come è stato affrontato questo testo che proprio per la sua longevità è stato portato sulla scena molte volte nel corso degli anni da tanti illustri maestri come Brook e Strehler.

Stupore perchè ci si poteva aspettare da Ferdinando Bruni una rilettura oltraggiosa e dissacrante come spesso è stato fatto dei classici shakeasperiani.
Ma così non è stato e il risultato sono circa due ore perfette nel loro scorrere, nella recitazione misurata che emoziona per la sua coralità, per il tono naturalistico, per la discreta presenza della “quarta parete”, di cui parla Strehler nei suoi appunti di regia scritti durante la messinscena del “Giardino” negli anni Settanta.

Rappresentato per la prima volta nel 1904, scritta tra il 1902 e il 1903 quando il drammaturgo era gravemente malato di tubercolosi, “Il giardino dei ciliegi” è l'ultima e la più lirica delle opere teatrali di Cechov.
Una potente e assoluta narrazione dell’umano, una teoria della recitazione fondata sulla ricerca della sincerità, sull’espressione degli stati d’animo e dei mezzi toni.

Il poeta russo ha donato individualità ai personaggi del teatro tradizionale ha immaginato una realtà fatta di infinite, latenti possibilità di vita, ha trasmesso a ogni lettore negli ultimi cento anni il gusto meraviglioso del quotidiano.

Scoprendo una struttura drammaturgica nuova caratterizzata dalla soppressione dell’eroe a beneficio del gruppo, un coro sprovvisto di centro dove ciascuno conserva tuttavia la sua individualità , dai piccoli intrighi distribuiti tra personaggi, anch’essi episodici, dal miscuglio dei generi (dramma, farsa, commedia, tragedia), dall’importanza del tempo e dalla composizione paradossale.

Portando sulla scena la vita nella sua continuità, imponendo il tempo narrativo del romanzo, Cechov è fondamentale proprio per aver ridimensionato il gusto barocco del
teatro che si rappresentava all’ epoca
.
L’ intrigo nasce dall’incontro dei personaggi in circostanze eccezionali, in questo caso si tratta della vendita all’asta del giardino che appartiene ad una nobile, ma decaduta famiglia di aristocratici russi. In questo luogo si muovono i singoli destini di un gruppo d'individui appartenenti ad una famiglia che rispecchia la crisi di una società, la decadenza di una classe, l'affermazione di un'altra, la trasformazione di una mentalità e il delinearsi di un nuovo e diverso sistema di valori.

Allora come oggi siamo al giro di boa di un secolo immersi nello stordimento di grandi trasformazioni, in uno stato d'animo audace dove paura e speranza s'intrecciano e si confondono. Nel Giardino tutto è costruito sull'alternanza fra l'immobilità e i brividi forieri di un cambiamento.

Ferdinando Bruni e tutta la compagnia (praticamente al completo a parte qualche illustre assenza giustificata) sono entrati nel Giardino in punta di piedi, cercando di coglierne la grande bellezza poetica, ma anche la grande concretezza di specchio della vita reale. Cercando di nascondersi dietro la storia, i personaggi, le loro relazioni, così come anche Cechov si nasconde dietro la sua creazione, senza imporci una tesi o una visione, lasciandoci liberi di ascoltarne le risonanze, di leggervi quello che ciascuno sente importante per sé.

L'eterna commedia d'illusione e sconforto, di ricordo e speranza, di comunione e solitudine può essere veramente presa a emblema teatrale della sofferenza del mutamento.
Ciò che più ci affascina oggi di Cechov è la sua laica pietà per gli esseri umani, per il loro spaesamento, per la loro sofferenza e la loro smarrita solitudine.

E’ la sua rinuncia a giudicare, a dividere schematicamente il bene dal male ad affrontare il lungo corpo a corpo con la sofferenza e la morte, quella degli altri e la sua e ad indurlo ad un amore disincantato, ad una acuta visione del mondo.

INFO
Teatro dell'Elfo
Via Ciro Menotti 11, 20129 Milano
tel. 02.716791 - fax 02.70123851



(14/11/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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