Guardate la copertina di questo libro. Ricorda la poesia di Aldo Palazzeschi “Chi sono?”. Diceva in un verso ‘io metto una lente davanti al mio cuore per farlo vedere alla gente’. Questa donna invece mette una lente davanti al suo occhio per poter meglio vedere la gente. Ma la lente non ingrandisce soltanto la realtà, ingrandisce anche lei.
Così il lettore attraverso quella lente non vede soltanto i fatti di cui si parla nel libro, vede anche chi osserva quei fatti, i personaggi narranti. Si tratta di un giallo ‘torinese’ costruito in un’atmosfera provinciale. Una giovane donna, con un passato di prostituzione alle spalle, viene trovata morta in un fossato. Si tratta di un assassinio, uno di quei fatti di cronaca nera che spesso apprendiamo dai tg della sera, uno di quei delitti la cui soluzione si dilata nel tempo, finchè passa di moda e se ne perde memoria.
Una bidella avvista la vittima e riconosce pure un’altra donna che vede per prima il cadavere. Una carabiniera, una barista, un’amica di famiglia, una giornalista, una beghina dalla lacrima facile, la figlia del banchiere, la vecchia contessa. Eccole, tutte in fila, lungo la trama semplice di questo romanzo ben scritto, a raccontarci piccole cose sulla vittima e molto più su loro stesse: la vita che conducono, gli affetti quotidiani, dettagli di una società borghese, di un ambiente che bisbiglia il passato di amici e conoscenti.
Questo è il vero argomento dello scrittore, il piacere reale della lettura, e a sostenerlo c’è uno stile così studiato da apparire spontaneo, insito nella materia. Da grande autore, infatti, Fruttero ha capito che la lingua dei personaggi deve essere corrente, credibile, innata. Non bisogna sentirlo lo scrittore, sotto, che scrive, che si serve dei suoi personaggi per portare avanti la trama. Il trucco c’è ma nessuno lo deve sapere.
E i protagonisti non possono essere simili, interscambiabili, al limite confondibili. Ognuno ha una sua personalità, un modo di camminare, di tenere in tasca il fazzoletto, di mettere l’olio nell’insalata. Ognuno è oppresso ed oppressore allo stesso tempo, un po’ come accade nel mondo dei fatti, appunto. Qui il fatto è uno solo e non è originale. Insomma, quante ragazze dell’est finiscono uccise ai bordi della strada? A molte capita di ‘redimersi’, di voler dimenticare quel periodo dell’esistenza, di finire in qualche associazione cattolica, di volontariato, eccetera eccetera.
Milena era stata più fortunata: aveva fatto innamorare un uomo-padre fino al punto di maggior scandalo, il matrimonio. Il ricco signore della buona società torinese sapeva tutto e l’aveva voluta nonostante tutto. Ma intorno al fatto ci sono tutti i commenti del caso, chiose che solo nel mondo femminile poteva trovare i più competenti interpreti.
Le donne riescono a parlare di cose che non esistono come fossero reali, riescono a costruire storie evincendole da inezie trascurabili.
Le donne non si parlano addosso, si parlano intorno e lanciano ponti, creano legami, scoprono verità semplici eppure fulminanti, cose che fanno piangere e ridere allo stesso tempo: magari mentre si viaggia su un treno da Milano a Torino, nello scompartimento trasandato si una vecchia prima classe. Come accade per l’ultima frase della bidella al marito prima che si chiuda il romanzo, ma –ovviamente- non ve la dico.
Amare l'arte è benessere
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