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LO SPETTACOLO DI BASQUIAT. ALLA TRIENNALE DI MILANO
La Triennale di Milano ospita un’importante retrospettiva su Jean-Michel Basquiat, giovane artista afroamericano degli anni ottanta. Un luogo dove ammirare da distanze diverse l’opera istintiva e arrabbiata dell’artista. E un’occasione per ripensare al rapporto fra sistema e personaggio, e a come si definisca la figura dell’artista.
Fino al 28 gennaio '07.

Stefano Zoja

Jean-Michel Basquiat, sornione, si lamentava durante un’intervista che critica e giornalisti sembravano spesso più interessati alla sua vicenda personale che alle sue opere. Se da un lato probabilmente non ne era contento, dall’altro l’artista newyorkese si spendeva da anni nell’accurata vestizione del proprio personaggio pubblico.

Basquiat, così come lo celebriamo oggi, a soli diciotto anni dalla sua morte per overdose, è figlio tanto della mitologia dell’artista emarginato e geniale, quanto delle sue opere. E’ prodotto del suo talento e insieme di un sistema, quello vitale e bohemien dell’East Village newyorkese, fucina di artisti e vite alternative, delle quali si è nutrito e ha nutrito il mondo.

Basquiat era un talento intelligente, ambizioso e provocatore. Dal 1977, solo diciassettenne, cominciò a spargere nei suoi quartieri graffiti con scritte criptiche, poetiche e contestatrici.

Insieme al suo compagno di scuola Al Diaz si firmava “Samo” (“same old shit”, per protestare contro il sistema che proponeva verità aride e conservatrici) e sceglieva i muri prossimi alle più importanti esposizioni artistiche di Manhattan, cosciente che sarebbe stata la via migliore per farsi notare.
Intanto si manteneva vendendo magliette e cartoline dipinte a mano.

Un giorno Basquiat disse a un amico che avrebbe avuto intenzione di dipingere con lo stile dei disegni dei bambini. E così fece. “Samo” fu notato, conobbe Haring e altri artisti, poi i suoi primi galleristi Diego Cortez e, soprattutto, Annina Nosei, che gli offrì di usare come atelier lo scantinato della sua galleria.

Le sue radici afroamericane contaminavano prepotentemente la sua opera di contestazione sociale, in cui una pittura istintiva ed espressionista era spesso il mezzo per rivendicare diritti e valore degli emarginati, in particolare dei neri, schiacciati dagli implacabili rapporti di potere del capitalismo.

Tematiche figlie, o almeno nipoti, della pop art, mentre il tratto del pennello sembra collocarsene al di fuori: si torna a un’arte meno concettuale e più espressiva, graffiante e non più fredda.

Ma è proprio con il maestro della pop art che Basquiat stringe un sodalizio fondamentale per la sua crescita: Andy Warhol non si accorse subito del giovane artista di colore che lo inseguiva, ma al momento giusto ne nacque un rapporto intenso, artistico e umano, che prese a suo modo la forma della relazione padre – figlio, non priva di una componente di attrazione.
Ne vennero le “Collaborations” fra i due artisti. E per Basquiat l’incontro con Warhol segnò uno scarto, un’ascesa: fu un rapporto vero e, insieme, redditizio per entrambi.

Era il 1983. Basquiat aveva già acquisito una certa fama, girava il mondo, era inafferrabile per la stampa, era atteso nei locali più scintillanti dell’East Village. Precisa espressione di quell’ambiente, che nel contempo cavalcava benissimo: artista intelligente, bello e istintivo, che non disdegnava le droghe e coltivava la sua immagine, come dimostrano i servizi fotografici a lui dedicati o il gran numero di autoritratti che ha lasciato.

La sua traiettoria artistica proseguì per quasi tutti gli anni ottanta: rifletteva sulla morte, sul potere, sulla rabbia degli esclusi e l’ingiustizia dell’esclusione, un tema che sentiva profondamente suo.

Al suo tratto ingenuo, impulsivo e colorato si affiancavano piccole e dense scritte e simboli di contestazione che si fondevano nel caos vitale delle sue tele. Sono lavori che si possono e si dovrebbero osservare da cinque metri e poi da cinquanta centimetri di distanza.

Basquiat morì nella sua casa di New York nell’agosto del 1988. Un anno prima era rimasto scosso dalla notizia della morte di Warhol. Anche per questo, aveva cominciato a lavorare meno e a eccedere con gli stupefacenti. L’uomo e il suo lavoro scoloravano, gli stimoli si perdevano. Fino alla notte del 12 agosto.

In questi mesi la Triennale di Milano presenta “The Jean_Michel Basquiat Show”, la più importante retrospettiva mai realizzata in Europa su questo artista. Per pochi, come per Basquiat, si può davvero parlare di show: la sua opera, e inevitabilmente la sua vita, erano uno spettacolo. Basquiat lo sapeva e lo voleva. Con la forza, l’istintività e, in controluce, la lucidità che emana dai suoi stessi lavori.

INFO
tel. 02/724341
info@triennale.it



(24/10/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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