Lo straordinario testo di Eduardo De Filippo viene messo in scena molto fedelmente dal regista Francesco Rosi, noto soprattutto come autore cinematografico. Il testo ha come tema l’ipocrisia dei rapporti familiari, la meschinità dei rapporti interpersonali, l’effimera condizione umana di fronte all’unica certezza, la morte.
La realtà immanente, infatti, è una realtà dove le certezze sono labili, dove il confine tra una verità immaginata ed un fatto incompiuto, spesso, non ha frontiere che lo dividano. E dove le voci di dentro, soventemente, sono molto più reali delle formali esternazioni che nascondono i propri sentimenti. Così alla fine del dramma, il sogno di Alberto Saporito risulterà essere il contraltare esplicito del meschino disegno occulto della famiglia Cimmaruta.
Nei momenti più allusivi del testo, il significato fuoriesce dagli splendidi giochi di luce con cui il regista vuole sottolineare alcuni passaggi fondamentali. I presagi onirici delle donne di servizio, nel primo atto, sono un trionfo di come si possa illuminare ed utilizzare una sontuosa scenografia. Così come il linguaggio esplosivo che lo zio Nicola utilizza per parlare con suo nipote Alberto, l’unico a comprenderlo.
E non è un caso che siano loro a comprendersi. L’uno ha deciso di smettere di comunicare per via della sordità del mondo, l’altro sta per scoprire quanto questo mondo ascolti solamente le proprie paure, i retaggi insuperati dei propri incubi.
L’inutilità della parola, del dialogo, come spinta propulsiva al miglioramento sociale. L’unico momento in cui Alberto non riesce a capire lo zio è quando, dopo la sua morte, gli chiede di parlare, di dargli un segno. I fuochi artificiali che egli sente dentro se stesso non possono essere chiari, né comprensibili, perché il mondo dei vivi non può comprendere chiaramente.
La meravigliosa scenografia riesce ad essere densa di significati e tradisce una frequentazione viscontiana di lungo corso da parte di Francesco Rosi. Il regista è, infatti, stato assistente del maestro milanese, sia a cinema sia a teatro. Tutto ciò si vede.
La dualità degli ambienti -la cucina dei Cimmaruta e la casa bottega dei Saporito- ed il sostanziale arredamento si attengono alla messa in scena televisiva di Eduardo. Eppure Rosi, con l’aiuto dello scenografo e costumista Enrico Job, riesce a condensare in due scenografie immobili tutto quello che il teatro non può sviluppare tramite il montaggio televisivo, liberandolo opportunamente a tempo debito, grazie all’interrelazione con gli effetti di luce.
La desolata piazza barocca su cui si affaccia la finestra della cucina che sfuma in un color rosso sangue inquietante, al momento del presago racconto della domestica. La porta del corridoio dove, invece del solito viavai domestico, si affaccia l’inquietante sagoma di una figura in penombra, che dovrebbe essere il capretto del sogno di donna Rosa.
I teschi sulla parete della cucina, che già di suo somiglia più ad una fredda catacomba che ad un focolare. Le sedie ammucchiate sullo sfondo della casa dei Saporito, dove il tempo sembra fermarsi in un’immobilità perenne, come le umane paure sulla morte, ipostatizzate nel legno di quelle sedie e nelle statue, nelle effigi, presenti sulla scena.
luogo: Teatro Argentina di Roma
quando: dal 20 Ottobre al 19 Novembre, ore 21
info: ufficio promozione teatro di Roma: tel 06684000346 – fax 06684000360
biglietteria: tel 06684000345(ore 10-14; 15-19, lunedì riposo), prezzi: da 10 a 26 Euro
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