Valya è un giovane russo che lavora per la polizia; il suo compito è quello di prendere parte nel ruolo delle vittime alle ricostruzioni della polizia di fatti cruenti di cronaca nera. La sua vita si barcamena tra questo insolito impiego e la disastrata vita familiare: la madre ha una storia con lo zio di Valya, fratello del padre morto, che di tanto in tanto Valya crede di vedere in forma di visione. La ragazza di Valya è sull’orlo di impazzire d’amore e pensa bene ad assicurarsi il matrimonio con Valya facendo di tutto per restare incinta di lui.
Oggi possiamo dire che questo film ha vinto il Marc’Aurelio di Cinema: Festa internazionale di Roma. Non sappiamo ancora se questo festival, che per la sua prima edizione ha scelto di affidare il proprio verdetto esclusivamente ad una giuria popolare di cinquanta persone presieduta da Ettore Scola, avrà un futuro di notorietà e stimabilità al di là dell’ovvio fatto che ha come scenario Roma.
Di sicuro questo film vincitore non fa promettere nulla di buono sulla formula della giuria popolare. Il regista russo, a sentire le sue dichiarazioni sembra un onesto e giovane amante del cinema che ha visto molti film italiani e che dopo aver girato altri importanti festival con gli altri suoi due lungometraggi, uno del 2004 e uno del 2005, entrambi inediti da noi, è riuscito, aggiudicandosi questa prima edizione così attesa e così gettonata dai distributori di molti paesi, nonché da star statunitensi, a vincere il suo premio più importante, quello della visibilità: solo vincendo il Marc’Aurelio il regista russo si sarà garantita una maggiore considerazione da parte dei media internazionali.
E pensare che il film, a detta dello stesso regista, era stato pensato esclusivamente per un pubblico russo, per il suo gusto e per il sostrato culturale che un film dai simili intenti dà inevitabilmente e giustamente per acquisito, circa le tante sfumature difficilmente rintracciabili se non si appartiene al popolo da cui proviene il regista stesso.
Al di là della simpatia che il regista è in grado di suscitare, anche alla luce delle sue generose affermazioni verso Roma e la sua Festa fortemente voluta dal sindaco Veltroni – e come dargli torto, il riconoscimento gli vale anche un premio in denaro di € 200.000 –, il film ci appare fin troppo presuntoso: probabilmente la formula tragicomica funziona anche, ma nel momento in cui si comprende che dietro le situazioni grottesche, seppure ben orchestrate, si cela l’esclusivo desiderio di esasperare lo spettatore con isterici rimproveri verso la modernità e con stereotipati rigurgiti di ribellione post-adolescenziale, l’attenzione cala e ci si accorge che non c’è alcuna trama, alcun intreccio dietro le intriganti premesse del soggetto. E tutto finisce come è iniziato, senza purtroppo alcuna progressione.
Perché non basta voler rivisitare Amleto – madre e zio cospiratori verso il padre che chiede vendetta apparendo in visione al figlio – per garantirsi una corposa linea contenutistica e far credere di avere un’ideologia forte di fondo da voler comunicare, a maggior ragione se poi non si vuole neppure affiancare allo spettatore un personaggio per cui simpatizzare, o almeno a cui è lecito affezionarsi, quel tanto che basta per indurci a provare sentimenti di pietà o compassione come minimo. Qui tutti i personaggi sono antipatici, idioti e inconcludenti, neppure in grado di dare vita ad un dramma ad una storia narrativamente spendibile.
Ad essere sinceri sarà difficile che questo film trovi un distributore, in Italia e non solo, disposto a scommettere nonostante il premio riscosso. Paradossalmente c’è il fondato rischio che questo film vincendo avrà la sua visibilità, come detto, ma, al contrario, non si può di certo sostenere che questo film darà visibilità nel mondo al festival che lo ha immortalato.
Amare l'arte è benessere
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