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Ma la coniugazione costume-moda diverrà dicotomia inducendo gli addetti ai lavori ad adottare, in tal senso, la possibilità di una nuova figura professionale che si occupi sia di un particolare abbigliamento che della valorizzazione e verosimiglianza del personaggio, con i valori e i simboli che il personaggio rappresenta come sostiene Roland Barthes.

Il costumista, dunque, responsabile di primo piano per il successo di un film, dovrà essere un profondo conoscitore della storia del costume e della moda, in grado di trasmettere nell’abito, con precisione, il particolare utile per esprimere al meglio il contesto storico, lo stato sociale del personaggio, la sua psicologia, e tutto ciò che tecnicamente può rappresentare la conoscenza del cinema, dalle luci alla fotografia...

Sarà lui a progettare e scegliere costumi di altri tempi, eseguiti in ogni suo dettaglio sartoriale dal suo team di esperti scelti, che concorreranno al successo di un’opera cinematografica.

Il costume da film diviene moda, quando il personaggio-protagonista ha la capacità di evocare archetipi e sollecitare quei desideri che spingono il pubblico ad imitarlo.

E mentre l’attore si trasmuta in mito, qualsiasi spettatore può a sua volta cambiare e diventare affascinante, carismatico e tenebroso, indossando - per esempio - un impermeabile alla Humphrey Bogart.

Dunque lo stile, nell’abbigliamento cinematografico, ha il potere di contribuire ad accrescere il mito e il mito stimola il processo d’identificazione attraverso l’abito, in una dinamica crescente e circolare. Lo dimostrano Marilyn Monroe, Greta Garbo, Audrey Hepburn, tanto per citarne alcune, che hanno segnato epoche intere attraverso la rappresentazione di un modo d’essere strettamente legato alla maniera di vestire.

Pur essendoci qualcuno che non condivide la teoria come Piero Tosi. Infatti, il celebre costumista della sartoria Tirelli disegnatore degli abiti più rappresentativi dei film di Luchino Visconti sostiene che:“colui che nasce costumista non potrà mai essere stilista e viceversa”.

In realtà, una maison che potrebbe tranquillamente smentire questa affermazione è Annamode 68 che ha tracciato gran parte della storia sociale e cinematografica, creando sia la moda che il costume con una naturalezza sorprendente. Tra le grandi sartorie cineteatrali europe, essa, ha dimostrato che è possibileAnna Allegri, sua capostipite.

Nel 1946, in un periodo storico difficile per qualsiasi tipo di impresa, Anna Allegri, un’audace e gradevole signora toscana, riesce a dar vita - in una città d’arte come Roma dove alla bellezza, a volte, ci si abitua - ad un atelier che diverrà noto per la raffinata natura sartoriale dei suoi capi.

In breve tempo conquisterà gli spazi e i consensi dell’alta borghesia romana, grazie anche all’impegno di Teresa Allegri, la sorella, con la quale si occuperà successivamente sia di moda che di cinema.

Due attività che riusciranno, non solo a convivere tra loro ma, con l’avvento del cinema neorealista, l’una rientrerà nell’annovero delle creazioni di costume tra le più richieste sul set, l’altra continuerà a soddisfare le esigenze di eleganza crescenti, dovute al benessere economico degli anni sessanta.

I lavori procederanno in due laboratori distinti, in perfetta sintonia tra loro, confermando l’indiscussa creatività delle due sorelle, che continueranno ad accendere, con i loro capi, l’interesse di donne affascinanti e attrici, alcune all’epoca ancora sconosciute come Sophia Loren o Eleonora Rossi Drago, altre già affermate come Ingrid Bergman. A queste donne seguirà una lunga lista di personaggi che con i loro passaggi artistici incideranno, come segnali indicatori, epoche e stili.
Successivamente, Annamode 68, amplierà gli orizzonti approdando con i suoi costumi di scena al teatro, alla prosa, alla lirica e al varietà.

Mondi con linguaggi diversi ma interagenti, disgiunti solamente da sottili questioni culturali antropocentriche che ne delimitano i caratteri, ma non la valenza.

Una valenza che ha dato vita a costumi intramontabili, vere opere d’arte che vivono ancor oggi, attraverso le memorie dei protagonisti di i quali tramite esposizioni, percorsi culturali accademici e mostre, procedono in un’attività che ha valicato, ormai, i confini del nostro Paese affacciandosi a nuovi scenari internazionali e portando nel mondo un segmento fondamentale della nostra cultura cinematografica.



(11/10/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

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