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LA COMMEDIA DEL POTERE
TITOLO ORIGINALE: L’ivresse du pouvoir
REGIA: Claude Chabrol
CON: Isabelle Huppert, François Berléand, Patrick Bruel,
Marilyne Canto, Thomas Chabrol
FRANCIA 2006
DURATA: 110 minuti
GENERE: drammatico, commedia amara
VOTO: 5,5
DATA DI USCITA: 06 ottobre 2006

Lorenzo Corvino

Jeanne è un pubblico ministero che indaga su questioni delicate, quali il falso in bilancio e l’appropriazione indebita, nei confronti di un’impresa privata che ha usato denaro pubblico ricevuto dai precedenti governi per gestire dei rapporti finanziari con governi di nazioni che un tempo sono state colonie di Francia.

La risolutezza di Jeanne tuttavia si confonde e si ridistribuisce tra desiderio di essere sempre implacabile, all’altezza della reputazione che si è costruita negli anni, dopo aver lottato per emergere dai gradini più bassi della società, e ambizione a far carriera nel suo settore, contro tutti i benpensanti e tutti i maschilismi del potere.

Come recita il titolo originale – quantunque il titolo italiano è a dire il vero la traduzione del titolo usato in lavorazione dalla produzione – quel che interessa a Chabrol è raccontare l’ebbrezza del potere, qualunque esso sia: tanto il potere economico, che se mal adoperato favorisce pochi squali della finanza e danneggia Stato e generazioni a venire, tanto il potere giudiziario – è Jeanne a ricordare al suo procuratore che in Francia comanda un pubblico ministero – quando questo si accanisce nel suo giustizialismo senza freni e si arroga il diritto di non dover avere inibizioni morali di alcuna specie.

Quindi commedia, dicevamo, non tanto in riferimento a dei presunti contenuti comici del film, quanto nella farsa e messinscena di un’istruttoria. Eppure manca a tutta questa ottima base lo slancio del conflitto tra i personaggi: i dialoghi sono troppo vaghi, vogliono dire tutto senza dire nulla in particolare.

Il risultato è che si accenna sempre a qualcosa, si parla di un “loro” che muove le fila e di un giro di denaro che “si sa c’è sempre stato”, ma il tutto rimane troppo facilmente elusivo, quasi si fosse timorati di pestare i piedi a qualcuno.

Il film ha l’impronta della parabola biblica, come quelle storie che vogliono essere universali e dire tutto senza fare necessariamente nomi, tanto che i personaggi sono identificabili dallo spettatore per il ruolo che rivestono, come le carte di Propp per intenderci: abbiamo il pubblico ministero ostinato, il procuratore suo capo malleabile e soggiogato ai poteri forti, il vecchio e malato presidente dell’azienda sotto inchiesta, il giovane presidente spregiudicato, il senatore antagonista che muove da dietro le fila del complotto con l’aiuto del suo galoppino, il buon amico della protagonista che fa da consigliere, il giudice di soccorso che raccoglierà il lavoro iniziato dalla protagonista, e tante altre figure emblematiche che svolgono una funzione piuttosto che impersonare una psicologia definita che aiuti la narrazione a progredire con organicità.

Tuttavia, nonostante l’impostazione di fondo così enunciata, il prodotto finale non rende giustizia alle valenti intenzioni: è una parabola senza qualcosa di parabolico, ossia è insufficiente quella sagacia e quel paradosso morale, che avrebbero reso il film più corposo e sicuramente più compiuto.

Di fatto resta nella mente dello spettatore a fine film, non tanto il tema del potere e dell’abuso, o l’amarezza della realtà sicuramente più inquietante della finzione di questo film, quanto soltanto il bellissimo ritratto di donna coraggiosa e sensibile incarnato dalla Huppert, alla sua settima collaborazione cinematografica con il regista connazionale.




  
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