New York. Andy, neo-laureata, sogna di diventare una famosa giornalista di politica. Al suo primo impiego, la giovane trova lavoro come assistente di Miranda Priestly, direttrice della più grande rivista di moda statunitense. Il carattere impossibile del suo capo le renderà la vita difficile.
Il Diavolo veste Prada, tratto dall'omonimo best-sellers di Lauren Weisberger, che ha conquistato i lettori di mezzo mondo, è diretto dal sempre affascinate David Frankel, già autore della commedia Promesse e compromessi con Antonio Banderas e Naomi Champbell. Briosa e giustamente sfiziosa, la pellicola di Frankel confeziona una New York cosmopolita, fresca nei colori e nella rigorosa estetica delle sue forme. Presentato come film fuori concorso alla 63esima mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, “Il diavolo veste Prada” è una rivisitazione fiabesca e attuale del mondo del lavoro, sospeso tra l’immobilismo delle grandi organizzazioni e i continui cambiamenti tecnologici delle società complesse, generatrici della diffusa assuefazione dell’uomo moderno alla vita quotidiana.
Andy, giovane neo-laureata, sogna di far carriera come giornalista in un famoso quotidiano, ma l’unica occasione che le si presenta è quella di fare l’assistente alla terribile Miranda Priestly, editrice di “Runway”, il magazine di moda più in voga del momento. Straordinariamente abile nell’interpretare atteggiamenti fittizi e maledettamente glamour, decisa nelle fattezze e nello sguardo gelido, Meryl Streep veste i panni della signora Priestly, donna in carriera e spietata manager, interprete del gusto femminile e dell’estetica moderna. A colpi di scialle e borsette firmate, la direttrice, protagonista indiscussa delle passerelle internazionali, si presenta come uno dei maggiori punti di forza della pellicola di Frankel. Dietro la sua bellezza abbagliante e pur mostrando una spiccata inclinazione all’ironia di impostazione britannica, la Streep è capace di infondere nel personaggio di Miranda un profondo senso di malinconia e vulnerabilità alle passioni umane, tanto da renderla amabile in tutte le sue forme.
L’assetto comunicativo del film è avvolgente. La sceneggiatura, ben scritta e particolarmente gradevole nelle parti recitate a due, spicca per la presenza di personaggi secondari ricchi di spessore come l’intrepido Nigel, fashion director di Runway e vero guru della moda. A tratti spassosamente Kitsch, il film sprigiona quel senso di irriverente consapevolezza propria della logica dell’apparire in una società moderna come la nostra, non dimenticando però di sottolineare l’importanza degli affetti come principali ispiratori e creatori di quell’unico abito per cui davvero vale la pena indossare: la vita.
Amare l'arte è benessere
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