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TIME
TITOLO ORIGINALE: Time
REGIA: Kim Ki-Duk
CON: Jung-woo Ha, Hyeon-a Sung
COREA 2006
DURATA: 98’
GENERE: drammatico
VOTO: 5

Giancarlo Simone Destrero

Sehi e Jiwoo stanno insieme. Lei, però, è ormai, dopo due anni di fidanzamento, ossessivamente gelosa, ed in qualunque rapporto di Jiwoo con le altre ragazze vede un potenziale tradimento. Si convince, inoltre, che lui non sia più attratto dal suo corpo e dal suo volto. Decide così di ricorrere alla chirurgia plastica per riconquistare il ragazzo…

Ancora un altro film del coreano Kim Ki Duk, che negli ultimi tre anni ha invaso gli schermi italiani con cinque titoli. Ed ancora una volta i temi trattati, in questo caso una riflessione sulla morbosità dell’amore, vengono esposti nella maniera in cui il regista asiatico ci ha abituato: con molta sincerità, molta passione, molta voglia di fare cinema e di costruire immagini.

Questa volta c’è un aspetto più terreno dell’animo umano da affrontare, o meglio non si tratta esplicitamente di temi mistici come in Primavera, Estate, Autunno, Inverno…e ancora Primavera e non si vuole alludere a nessun tipo di ascetismo spirituale come nel finale di Ferro3, ma si vuole chiosare, più che analizzare, le strutture amorose con tutti i loro demoni di passioni logoranti ed i rispettivi drammi della gelosia.

Quindi una chiosa, visto che Kim Ki Duk cerca sempre di dire qualcosa di definitivo, che questa volta non ha nulla di trascendente, se non per la sensazione di un eterno ritorno dei soliti problemi di coppia che ci lascia la struttura circolare del film, ma, in questo caso, è più un’indagine antropologica sui meccanismi umani, trasversalmente comuni a tutte le coppie e per questo sempre presenti senza soluzione di continuità, piuttosto che situazioni particolari destinate a cicliche riapparizioni.

L’essere umano nella sua animalità quindi, in maniera più ravvicinata rispetto ai film precedenti, fino a d arrivare a sezionarne, letteralmente in questo caso, il volto. La vicenda è quella dei due ragazzi innamorati. Lei non è più sicura del loro innamoramento, convinta che lui voglia nuove donne, nuovi corpi con cui fare l’amore, e dopo tanto patire se ne va, scompare dalla vita di lui.

Cosa non si fa, quando si è innamorati? Convinta di poter soddisfare le voglie del proprio ragazzo, facendolo innamorare nuovamente di lei, ex-nova, non esita a farsi cambiare i connotati dalla chirurgia plastica per poi ripresentarsi, tempo dopo, nella sua vita. Il volto della donna non sembra cambiato di molto per la verità, ma questo è uno di quegli aspetti del cinema di Kim Ki Duk che non sembrano molto chiari e che lasciano degli interrogativi.

Questo perché in un cinema come quello del regista coreano che è contraddistinto da una rigida linearità spazio temporale i simbolismi e gli enigmi a volte appaiono innesti incomprensibili, quando non di troppo, anche se possono essere esteticamente evocativi di per sé, senza necessitare di una contestualizzazione, come in questo film l’isola delle sculture.

Nulla contro le allegorie, per carità, che dovrebbero essere quel di più visivo in un’opera cinematografica, ma in questo caso mi sembra che siano come incastrate ad una linearità drammaturgica semplice, quasi per voler confondere le idee e provare a dare autorialità ed originalità ad una struttura narrativa che si sviluppa invece, come da buon prodotto istituzionale, con una continuità di azioni e reazioni da parte dei personaggi volte a spiegare la storia, ma in questo caso tanto prevedibili ed ovvie da risultare noiose.

Quindi, una mancanza di ariosità nello svolgimento dell’intreccio, invece troppo rigido e schematico, anche per una mancanza di complessità che le solenni pretese dell’opera del regista richiederebbero So d’essere impopolare, ma non riesco a capire perché questo regista in Italia debba essere tanto osannato. Non metto in dubbio che egli sia un intellettuale, un uomo con diversi interessi e sicuramente un buon artigiano del mestiere, ma da qui a farne il nuovo guru del cinema serio e di meditazione ce ne passa.

Il film continuerà a svilupparsi così, con una serie scontata di cause ed effetti: lui s’invaghirà di lei che non sa essere la sua ex; lei rimarrà scottata dal fatto che lui aspetta la sua ex dopo che per farsi notare è arrivata a tanto, allora sceglierà di rifarsi viva come ex; lui scoprirà che lei si è cambiata il volto e di conseguenza ricorrerà alla chirurgia plastica; lui si rifarà vivo dandole un appuntamento per qualche mese dopo; allora sarà lei ad aspettarlo e cercare di indovinarlo tra i ragazzi che entrano nel loro pub, per il giorno fissato, e così via fino al prevedibile esito finale.

Inoltre, e concludo, i dialoghi sono talvolta inutili, come insegna il grande cinema muto, oltre che dannosi se, e quando come in questo film, arrivano ad una tale ridondanza con le immagini e con il contesto causale di cui fanno parte.



(05/09/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


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