Recensione di LORENZO CORVINO
VOTO: 6,5
Il film è costato 204 milioni di dollari, superato soltanto da King Kong (207) e da I Pirati dei Caraibi 2 (225). È un dato che non può non essere enunciato per primo quando si parla di operazioni simili: tuttavia se nei titoli che lo battono in termini di costo vi è un cast stellare di attori che rosicchiano una quota non indifferente del budget finale, in questa quinta avventura del più celebre dei supereroi dei fumetti, il cast è composto da volti sconosciuti. Se si esclude il cattivo Lex Luthor, interpretato dalla star premiata due volte con l’Oscar Kevin Spacey, che gioca ad emulare, a dire il verro non senza riuscirci, il personaggio incarnato da Gene Hackman negli anni Ottanta, con una serie di atteggiamenti, posture e ciondolamenti della testa, per gli altri, e per altri si intende ovviamente Clark Kent e Lois Lane, la Produzione ha pensato bene di optare per dei volti sconosciuti che permettessero al film di progredire sulla scia della continuità rispetto ai classici di qualche anno fa.
Questa differenza di cast artistico rispetto agli altri recenti blockbuster sopra nominati ci fa pensare che molto del budget è stato inevitabilmente e ovviamente dirottato sugli effetti speciali; tant’è che la sequenza in cui Superman ricompare letteralmente in modo plateale dinanzi al pubblico statunitense è un tripudio di effetti sonori e di catastrofismo post-11 settembre: un’ingegnosa trovata di trama, apparentemente finita in sé, che invece come si vede col progredire della vicenda apre perfettamente alla trama principale, in cui Superman – e con lui il regista Bryan Singer e gli autori degli effetti speciali visivi – sembra volerci dire che non esiste eroe più capace e intraprendente e mai domo che noi spettatori potremmo mai vedere al cinema: oltre qualsiasi Spider-Man o X-Men, Hulk o Batman.
Lo sconosciuto Brandon Routh che raccoglie l’eredità dello scomparso Christopher Reeve, alla cui memoria necessariamente il film è dedicato, è di fatto e indiscutibilmente un clone più giovane del mitico Superman anni Ottanta, e questa fantastica alchimia tra fisionomia e contenuti dell’intreccio facilitano non poco il piacevole e infantile rigurgito di sensazioni ormai sopite da tempo, tramite le quali ci affezionavamo al personaggio-attore della precedente tetralogia. Difatti, la gestualità del personaggio e le sue maniere estremamente cortesi, il modo in cui Singer inquadra Clark Kent e le battute dei dialoghi, finanche le situazioni della corposa e per nulla banale trama e il ritorno di un celeberrimo leitmotiv fanno sì che il film funzioni come un meccanismo che raramente troviamo così ben oliato nei molteplici esempi di questa ondata di film fumettistici di inizio millennio.
Probabilmente il merito in questo caso è stato collettivo: una Produzione che ha prediletto il coinvolgimento del pubblico e la continuità stilistica e contenutistica col precedete modello, piuttosto che inventare o eccessivamente attualizzare come la stessa Warner Bros. ha di recente fatto col Batman Begins di Chrisopher Nolan.
Ovviamente rispetto al modello originale questo film scandisce qualche spiegazione in più e spende qualche effetto speciale in più – vedere il proiettile che si accartoccia impattando la pupilla di Superman – per permettere allo spettatore contemporaneo di accettare che una figura dalle fattezze di essere umano voli senza alcuna tecnologia di supporto o mutazione genetica di alcun tipo; ma comunque la sostanza non cambia: nonostante abbiamo di fronte un uomo d’acciaio le difficoltà non mancheranno, e proverranno tutte dalla diabolica mente di un omuncolo calvo e mortale.
Il rimpianto che il film sembra chiaramente voler celare appena è quello di indurre lo spettatore statunitense e non solo a domandarsi durante e dopo la prima grande sequenza d’azione che cosa sarebbe stato il mondo con Superman al suo fianco quella mattina dell’11 settembre 2001; cinque anni fa appunto: e non a caso cinque sono gli anni in cui Superman è stato assente dalla Terra. Forse che l’attentato alle Torri Gemelle è stato un evento catastrofico che qualche terrorista ha organizzato in concomitanza della partenza improvvisa di Superman per Krypton? Ma l’umanità è sopravvissuta anche senza di lui in questi cinque anni dopo quei fatti: sarà per questo che gli sceneggiatori fanno vincere a Lois Lane il Premio Pulitzer con un articolo che s’intitola emblematicamente “Perché il mondo non ha bisogno di Superman”.
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