Marc sceglie di tagliarsi i baffi al fine di sorprendere la moglie e gli amici con un gesto improvviso che non ha alcuna motivazione se non la curiosità di apparire diverso allo specchio e agli occhi degli altri. Tuttavia inaspettatamente nessuno mostra stupore dinanzi a tale presunto evento: quello che appare uno scherzo ben architettato nei suoi riguardi sembra divenire un’ossessione per Marc; di fatto non riesce a capacitarsi del perché tutti protraggano così a lungo e così di comune accordo la messinscena. Ma ad un Marc completamente fuori di senno, perché nessuno si accorge che si è tagliato via i baffi, viene fatto notare che lui non ha mai portato i baffi.
Il film si inscrive nel genere noir per tutta la sua prima parte salvo poi divenire una storia dai risvolti più che altro drammatici, tanto che il regista non sente più la necessità di dare una spiegazione agli eventi psicologici, e non, che Marc vive, piuttosto sceglie di descrivere uno stato d’animo di profonda solitudine e di incapacità di sopportare uno stato paranoico e dissociato nel quale sembra immerso il protagonista.
Quantunque l’attore Vincent Lindon sia molto bravo nel restituire le impressioni e le sensazioni dell’uomo comune che fa un gesto ai suoi occhi straordinario come quello di tagliarsi i baffi per sorprendere la moglie e gli amici, la scelta di non dare una spiegazione che chiuda il cerchio e permetta al film di essere puramente e onestamente un prodotto di genere, bensì di annegare ogni soluzione nell’ambiguità totale ed enigmatica potrà lasciare insoddisfatti non pochi spettatori.
L’idea a monte della storia è di suo originale: consiste nel prendere un uomo che ha appena percepito intorno a lui l’atmosfera del complotto, e tuttavia non farlo reagire con la solita violenza omicida, in cerca di vendetta ad ogni costo, ma costringere l’uomo stesso a credere e ad insistere che c’è qualcosa che non va nel suo modo di vedere il mondo o di ricordarlo.
Pertanto il film si spacca nettamente in due parti e dopo una lunga premessa molto intensa e un corpo centrale all’altezza del mistero che ha innescato, la storia prende la piega di un film esistenziale, tant’è che il protagonista fugge dalla città, e dai chiaroscuri della sua casa dai toni lividi, alla volta di un’improbabile fuga in Estremo Oriente, verso dei paesaggi diurni e alienanti agli occhi di un occidentale disorientato come Marc. Nulla di più fuorviante per lo spettatore che è ancora disposto a dare credito e ad aspettare per capire dove tutto ciò andrà a parare. Tuttavia il semplice pedinamento del protagonista, assecondando le sue manie e i suoi vuoti di memoria, finirà col non dare alcuna spiegazione definitiva.
Forse l’aporia strutturale in una storia come questa, che troppo marcatamente nasce quale film di genere, non sta tanto nella scelta del regista di aver optato per l’ambiguità finale, che ci sta perfettamente, quanto nel fatto che non c’è un ventaglio chiuso di opzioni ambigue e conclusive tra le quali lo spettatore è chiamato a sceglierne una a suo piacimento; pertanto l’ambiguità è totale ed è difficile anche solo capire come il film effettivamente si sia concluso al momento dei titoli di coda. Sarà per tale motivo che un noir così imbastito, che sfocia nel dramma psicologico privo come sappiamo di un qualche schema narrativo da rispettare, sarà stato paragonato ai film di David Lynch. Tuttavia manca dell’eccentricità tipica del regista statunitense e abbonda troppo di realismo perché si possa mettere accanto a quelli.
Amare l'arte è benessere
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