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UN'ALTERNATIVA CULTURALE. L'ASCESA DI LA7
La7 si propone come nuova piattaforma televisiva adulta in alternativa al duopolio costituito da Rai e Mediaset, le quali, secondo Antonio Campo Dall’Orto, il direttore di La7, sarebbero in palese crisi culturale, la tv privata milanese, e incapaci di generare idee nuove, la TV di stato. Ma è tutto qui?

Giancarlo Simone Destrero

Probabilmente è vero. Come sostiene Antonio Campo Dall’Orto, che la guida da tre anni ed ha raddoppiato lo share al 3% dal 2002, La7 potrebbe essere definita Rai 4, sia appunto come pubblico fruitore, che in termini numerici arriva dopo le tre reti Rai, in una proporzionata continua riduzione di telespettatori, sia, soprattutto, in termini di qualità televisiva avendo, come sostiene lo stesso direttore, personaggi e programmi da servizio pubblico.

Ora, tralasciando la sempre più incombente e popolare competizione della TV a pagamento, che comunque influisce sui palinsesti, e sulla qualità, delle televisioni in chiaro, credo sia il caso di porre l’accento sulla presunta crisi culturale che, sempre a detta del suddetto Dall’Orto, starebbero attraversando le televisioni italiane, con particolare riferimento a Mediaset. La constatazione che Mediaset, nella stragrande maggioranza della sua emissione mediatica, abbia un basso livello culturale mi sembra facilmente condivisibile; quello che trovo meno condivisibile è il tema della crisi, perché esso significa, in poche parole, un decadimento da un epoca televisivamente aurea, ricca di spunti e di sollecitazioni utili a migliorare la cultura generale dello spettatore medio.

Mi sembra che, a meno che la parola cultura non derivi da -mi si consenta la battuta che trovo pertinente con veline e vallette- culo, e comunque non vedrei una crisi anzi, le cose non siano andate così. Voglio dire che quello che vediamo è sempre stato lo standard qualitativo delle tre reti Mediaset, con l’incremento in maniera esponenziale di pubblicità e sponsor, fattori inventati dalla televisione di Arcore e che le hanno permesso di affacciarsi su territorio nazionale, di crescere e di suggerire la linea anche alla tv di stato. Ecco il problema: l’allineamento della Rai, televisione di servizio pubblico statale, al volgare diversivo proposto dalle tre reti di Mediaset.

E non da oggi, purtroppo. Gli standard dei quiz show urlati, delle trasmissioni cabarettistiche post Drive In –trasmissione che segnò un punto di svolta- e delle agiografie su personaggi storici o santificati, che tornano ciclicamente facendo parte di un piccolo ventaglio di nomi da audience elevato, si rincorrono ormai da più di un decennio. Quindi le peculiarità culturali, didattiche ed informative che un servizio televisivo nazionale dovrebbe avere, mi sembra siano state abbandonate da diverso tempo, a vantaggio di una rincorsa al ribasso qualitativo che, perversamente, la discesa in etere di sua emittenza Mediaset ha ingenerato nella massa della società italiana, sempre più indottrinata alla teledipendenza, alla ricerca di poche domande e di molto svago moderatamente volgare.

Qui si che si può parlare di crisi. E non sta parlando un vecchio nostalgico ma, semplicemente, uno spettatore notturno, la mia critica qualitativa è infatti rivolta soprattutto al palinsesto diurno, che spesso si è trovato di fronte ai vecchi sceneggiati della TV di stato riproposti a tarda ora, dove si coniugavano ricostruzione storica sullo sfondo e maestria recitativa degli attori che impersonavano i protagonisti senza l’abuso degli ormai retorici stilemi televisivi, ed ha notato la notevole differenza con le attuali fiction, anche per una questione di tempi più dilatati nella messa in scena televisiva che permettevano di gustare quasi teatralmente l’opera, ma che, probabilmente, la concorrenza volgare dell’audience proibisce. Non parliamo delle vecchie tribune elettorali, dove le idee venivano esposte chiaramente e senza rispettare gli ormai incombenti luoghi comuni televisivi che occultano la sostanza della politica, per perpetuare tutte le pleonastiche chiacchiere con cui si mette in scena il teatrino, praticamente quotidiano, dei politicanti.

Per quello che riguarda la funzione formativa, il paradigma fu sicuramente la trasmissione “Non è mai troppo tardi” che negli anni sessanta alfabetizzò molti italiani, insegnando a leggere e a scrivere e facendo le veci del maestro elementare che, per varie vicissitudini, quelle persone non poterono avere. Tornando all’attualità quindi, è sicuramente vero, come dice Dall’Orto, che >b>Gad Lerner e Ferrara non sono inferiori a Bruno Vespa e Minoli e che Altra Storia può tenere il passo di Correva l’Anno, ma il problema è che eguagliare delle reti televisive in crisi qualitativa non può essere motivo di vanto culturale. Tralasciando ora il discorso delle idee innovative che meriterebbe un ulteriore approfondimento, basta che si sia consapevoli che essere originali non significa necessariamente fare buona televisione, credo che il nocciolo del discorso sia questo: fare la rincorsa ad una Rai che da anni rincorre Mediaset non è di per sé motivo d’orgoglio.



(17/07/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Capire, criticare, divertirsi, non assuefarsi è benessere

  
  
 
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