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Questa è la drammatizzazione secondo Greengrass: la storia che si costruisce davanti ad una cinepresa scrutatrice e al contempo curiosa, senza dimenticarsi che sono pur sempre gli esseri umani a prendere le decisioni o ad essere gli ignari testimoni di fatti di portata cosmica.

Il film si imposta come una sorta di Spy History, come ci piace definire il genere in cui si inscrive: ossia quel genere di film di spionaggio e di fantapolitica (spy story, appunto), a volte corale come in questo caso, concepito per raccontare storie di singoli individui capaci, anche loro malgrado, di inserirsi nelle più grandi dinamiche degli eventi geo-politici globali e reali, tra ipotesi di complotto e reali fatti di cronaca, tra romanzeschi intrecci thrilling e memorabili appuntamenti con la Storia.

La tensione è fortissima proprio perché si gioca con l’attesa di un evento sconvolgente che inevitabilmente lo spettatore sa già che accadrà da un momento all’altro e come si concluderà: tutto è un montaggio parallelo tra diverse sale di controllo di importanti aeroporti e centri radar, tra i corridoi dell’United 93 e una base militare. Film di interni a effetto claustrofobico che, nonostante narri fatti che lo spettatore sa come andranno a finire, cattura l’attenzione perché racconta “i dietro le quinte” di chi fra gli addetti ai lavori – piloti, controllori di volo, hostess, passeggeri, militari – ha vissuto in diretta qualcosa che nessun protocollo di emergenza aveva mai previsto.

Dunque una serie di punti di vista che il cittadino comune non ha conosciuto in merito a quegli eventi. L’immedesimazione è altissima, la verosimiglianza è un fattore di altrettanto coinvolgimento. Per essere il primo film sull’11 settembre 2001 è anche un film che si caratterizza per l’assenza di retorica. Difficile da eguagliare in questo.

Tra i dialoghi frenetici che emergono si possono cogliere due delle argomentazioni che avvallerebbero quanti sostengono che l’11 settembre abbia un lato oscuro tutto da chiarire ancora, dal quale potrebbe emergere una complicità dello stesso Gabinetto di Governo e della Casa Bianca: si fa riferimento al fatto che in quelle fatidiche ore solo pochissimi caccia erano presenti a pattugliare i cieli d’America mentre tutti gli altri erano stati mandati in missioni di esercitazioni in una quantità inspiegabilmente maggiore di tutte le altre volte. Inoltre c’è il fatto che dei quattro aerei ufficialmente schiantatisi quel giorno nel film si parla poco o nulla e con pochi dati del terzo, quello finito sul Pentagono, che, come sappiamo, a molti è apparsa più che altro un’esplosione.

La sequenza finale è drammaticamente epica, concitata e meravigliosamente dinamica, piena di pathos e di un triste rimpianto, in cui un taglio di montaggio su nero alla fine ci ricorda che dobbiamo riprendere fiato e respirare ancora, noi.



(11/07/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

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