Come ammettere che soltanto l’idea di una trasgressione non smascherabile le eccita e le porta conseguentemente ad abbassare la soglia delle loro inibizioni. Ma tutto ciò significa considerare chiaramente quei ragazzi semplicemente degli oggetti sessuali, o perlomeno far sentire loro tali.
Il messaggio che il regista calibra con attenzione, salvo qualche ingenuità narrativa che purtroppo rende inutilmente macchinoso l’episodio che innesca la conclusione della storia, rinunciando del tutto all’ambiguità, è che non basta la tenerezza che queste donne sanno a volte comunicare, non basta il fatto che i loro cinici intenti vengano presto smentiti dal loro sincero affezionarsi o persino innamorarsi di questi ragazzi di colore, non bastano le vicissitudini che le hanno indotte ad adattarsi ad una società annichilente, non basta nulla di tutto ciò a giustificare quello che fanno. Poiché così non si rendono semplicemente complici di un sistema di oppressione, ma prime attrici.
Intensa e tragica in senso romantico la chiusa finale, con una delle protagoniste che sceglie di proseguire verso Sud, incapace di tornare a casa, come se l’esperienza e le emozioni vissute potessero terminare con la vacanza stessa. Niente di più chiaro di quest’epilogo: la donna che non riesce a concepire il rientro nella vita quotidiana e sceglie di proseguire alla ricerca di altri porti franchi è - come si sottolineava sopra – simile alla condizione del veterano di guerra che non riesce a reintegrarsi nel mondo civile dopo aver raggiunto un grado di consapevolezza che lo tormenta fino alla follia.
Amare l'arte è benessere
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