I ritmi di vita, naturalmente ciclici, di una famiglia nomade che si accampa con la propria tenda nelle steppe della Mongolia mentre la attraversa, sono alterati dal rapporto affettuoso che nasce tra la maggiore dei figli, Nansal, una bambina di sei anni, ed un cane che ella trova all’interno di una grotta.
Il film di Byambasuren Davaa (già noto per "La storia del cammello che piange", sempre ambientato in Mongolia) si presenta come un documentario su un nomadismo esotico, così lontano dai nostri ritmi occidentali, che arriva, da subito, agli occhi degli spettatori grazie all’incantevole paesaggio che circonda l’esistenza di questi individui, per toccarne poi l’anima grazie ad uno sviluppo narrativo che implica un forte sottostrato favoloso di leggende e spiritualità.
Ed è proprio questa la straordinarietà del film. I semplici gesti degli individui che compongono questa famiglia sono in perfetta armonia con la natura che li ospita. Ma la semplicità della storia raccontata riesce a scavare così nel profondo fino ad arrivare all’essenza del rapporto uomo-natura. La situazione spazio-temporale dell’opera è una situazione liminare su diversi piani.
Qui quello che ad una prima occhiata può sembrare molto semplice, comincia ad articolarsi in un discorso più complesso. Come contrappunto ad una struttura che fonde diversi registri e genera una favola avventurosa, nel contesto documentaristico dove si innescano tutta una serie di finzioni narrative, troviamo la meravigliosa atemporalità di diversi stati limite: quello tra lo stato civile e lo stato naturale, in primis, rappresentato, evidentemente, dall’arcaico nomadismo della famiglia sulla quale il regista punta l’obiettivo della sua macchina da presa; quello dell’infanzia, come reminiscenza di un’età di purezza ed innocenza, che si pone liminarmente tra la situazione degli adulti umani e quella degli altri animali che popolano la terra; quello spirituale, di reincarnazione buddista in questo caso, come continuo raccordo tra una vita ed un’altra, verosimilmente fino al raggiungimento della perfezione dell’anima.
Inoltre quello che si tramanda oralmente nei racconti popolari e che ha valore prevalentemente metaforico, come appunto la leggenda che da il titolo al film e che un’anziana signora racconta alla bambina che s’è perduta alla ricerca del suo cane Macchia, trascende la dimensione fantasiosa della favola e sembra verificarsi puntualmente, reiterandosi, seppur con specificità diverse, ed avendo così riscontro nella realtà. In questa bella scena la vecchia e la bambina che si sono incontrate, in maniera apparentemente occasionale, ci vengono suggerite dal regista, mentre l’una tramanda all’altra la sapienza orale della propria cultura popolare, come due ombre che perpetuano qualcosa di decisamente superiore la loro contingente esistenza terrena.
Il film è raccontato, prevalentemente, nella soggettiva della piccola protagonista e dei suoi fratellini. Una purezza di visione che permea tutta l’opera. Un desiderio di poter ottenere con semplicità e spontaneità tutte le meravigliose esperienze che si presentano sotto i suoi occhi. Tanto che, da spettatori, si torna ad essere sorpresi e delusi dall’impossibilità di mordersi il palmo della mano, come insegna la mamma a Nansal per mostrare come non si possa ottenere tutto quello che si vede.
Il parallelo fra la smaliziata ingenuità dei cuccioli umani e la purezza degli animali che popolano l’incontaminata natura, dove si svolge la vicenda, è quello che rimane più impresso dopo la visione. Spesso il regista si sofferma nel momento dei giochi dei bambini, che, infatti, sono naturalmente gli esseri che si trovano più in sintonia con il cane e con il resto degli animali, i quali, a loro volta, sembrano ricalcare quei gesti nelle dinamiche di gruppo, anche se sono costretti da recinti o da corde.
E proprio liberandosi di una corda che lo tiene legato, il cane Macchia darà senso e azione alla leggenda che vede le vite degli uomini e degli animali, in questo caso il cane sepolto all’inizio del film con la coda sotto la testa affinché possa rinascere uomo, indissolubilmente legate le une alle altre. Mentre questo connubio sembra essersi consolidato in uno splendido, perdurante equilibrio naturale, ci arrivano gli echi di moderne elezioni politiche nella lontana città, che contrastano fortemente con questo paradiso perduto.
Amare l'arte è benessere
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