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UN EDUARDO NOIR E ATTUALISSIMO
REGIA DI ALFONSO SANTAGATA

La crisi della famiglia, della fiducia, della verità in una commedia, “Le voci di dentro” di Eduardo de Filippo, messa in scena al Teatro dell’Arte di Milano da Alfonso Santagata con la sua compagnia Katzenmacher.

Ugo Perugini

Il sogno, la realtà, la verità. Su questi temi “alti” ruota la provocazione teatrale di Eduardo nella sua commedia “Le voci di dentro”. Ma l’opera, come tutte quelle del grande commediografo napoletano, si presta anche a una lettura più quotidiana, quando segnala la crisi dei rapporti familiari, costruiti su sentimenti inautentici, su ipocrisie, invidie, odi profondi e laceranti.

È per questo motivo che la commedia, che risale al 1948, conserva una sua straziante modernità. Le cronache di ogni giorno – certe tragedie che si sviluppano ed esplodono proprio nelle mura domestiche – sono lì a confermarcelo in modo anche troppo crudele. Bene ha fatto, perciò, la compagnia Katzenmacher, guidata da Alfonso Santagata, a riproporla al Teatro dell’Arte di Milano (l’opera resterà in scena fino al 19 di questo mese).

Nella rivisitazione di Santagata, Eduardo ne esce come scarnificato. Ma il suo spirito è più vivo che mai e pare aleggiare nel palcoscenico. E quasi ci immaginiamo il suo viso pieno di rughe che ci sorride da dietro una quinta con un ghigno beffardo e senza speranza. L’opera assume tratti grotteschi, inquietanti, anche per le scenografie irreali (quei grovigli di sedie che pendono dall’alto!), gli strapiombanti fondali, in cui giganteggiano le ombre dei personaggi, le atmosfere cupe, infernali. E ogni parola scandita dagli attori, sempre molto efficaci, acquista un peso specifico maggiore, più coinvolgente, come anatemi a una società incapace di ascoltare, che si merita un atteggiamento di repulsione (come gli sputi di zi’ Nicola).

Oggi, noi tutti siamo un po’ come Pasquale, il marito di Matilde, quando, sospettando che la moglie cartomante lo tradisca con i propri clienti, pratica un foro nella parete della sua stanza per poterla spiare. Ma, pur avendone la possibilità, non trova mai il coraggio di guardare da quel “pertuso”. Anche noi, nella nostra società, abbiamo paura della verità e la evitiamo, preferendo rifugiarci nei sogni. Quelli nostri e quelli degli altri, finendo per crederci con tutte le nostre forze.



(16/02/2006) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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