Due “miti” del nostro tempo, usciti dalle copertine dei settimanali e dagli schermi della TV: Jacqueline Kennedy (1929-1994) e il politico carinziano Jörg Haider. Sono loro a parlare in prima persona – o meglio: ad “essere parlati”, ad agire come voci di un linguaggio che li sottende – e spesso l'autrice si serve di citazione autentiche, utilizzate con intento demistificante.
In Jackie gli episodi più celebri della vita di Jaqueline Kennedy (la difficile vita coniugale e l'assassinio del marito, gli aborti, la carriera interrotta di giornalista, le ambizioni letterarie, il rinnovamento della Casa Bianca) si configurano come momenti paradigmatici di una consapevole messa in scena, che annulla la individualità della persona.
A essere mostrato è il potere, nella sua declinazione al femminile. Jackie è una figura di pura rappresentanza, i cui stessi sentimenti sono al servizio della rappresentatività. Per questo la fisicità della donna scompare dietro ai suoi abiti, anzi la stessa figura si riduce agli abiti indossati, alla maschera esibita. Contrapposta a Jackie è Marylin Monroe, espressione di fisicità e di luce, vittima di un potere che l'ha usata. Costante leit-motiv del testo è un ironico e talvolta grottesco riferimento alla sfera degli abiti e della moda.
Nell'Addio alle parole del politico carinziano Jörg Haider, che annuncia il suo abbandono dalla scena politica nazionale, si intrecciano frasi di Eschilo dalla Orestea, in un procedimento – tipico per l'autrice – di contaminazione di registri e di stili.
Il linguaggio della politica viene qui condotto all'assurdo. La demagogia insita in una certa fraseologia è smascherata attraverso una raffinata tecnica di montaggio.
Scritto sotto l'impressione degli eventi politici che portarono all'ingresso del partito di Haider nel governo nazionale, L'Addio è stato rappresentato per la prima volta il 22 giugno del 2000 nel Ballhausplatz di Vienna, dinanzi alla sede del cancelliere. Il sottotitolo rimanda tra l'altro alla sonata per pianoforte nr. 26, op. 81 di Ludwig van Beethoven.
Nata a Mürzzuschlag, in Stiria, nel 1946, Elfriede Jelinek ha ricevuto nel 2004 il premio Nobel per la letteratura, «per il fluire musicale di canto e controcanto nei romanzi e nei drammi, che con straordinario ardore linguistico rivelano l'assurdità dei clichè della società contemporanea e il loro potere soggiogante».
Diplomata in organo al conservatorio di Vienna nel 1971, dopo aver interrotto gli studi in scienze del teatro e dell'arte, Elfriede Jelinek ha debuttato giovanissima nel 1967 con una plaquette di poesie, a cui hanno fatto seguito negli anni numerosi drammi, prose e interventi saggistici.
Tra le sue opere principali si ricordano i romanzi La pianista (1983), La voglia (1989), I figli dei morti (1995) e i drammi Cosa accadde dopo che Nora ebbe lasciato suo marito, ovvero le colonne delle società (1977) e Sport. Una pièce (1997).
(08/02/2006)
Amare l'arte è benessere
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