Rom e “gagè”, termine che in lingua romanés indica i “non zingari”, hanno collaborato in questa occasione per commemorare lo sterminio di oltre cinquecentomila zingari nei lager nazisti. “Porrajmos”, analogamente all’ebraico “ha – shoah”, in romanés significa distruzione, divoramento. E’ il termine con cui si dà nome ai tragici avvenimenti che portarono all’annientamento di migliaia di rom durante la seconda guerra mondiale.
I registi Dijana Pavlovic e Claudio Migliavacca lo hanno raccontato portando in scena le storie di Mile, bambino zingaro ucciso insieme alla sua famiglia, la cui fine è stata testimoniata da un compagno di scuola, e di Valentina, internata ad Auschwitz e miracolosamente scampata alla morte, la cui voce è stata raccolta dalla rivista “Lacio Drom”.
Musicisti italiani e zingari hanno accompagnato l’intero spettacolo dando forza ai testi e alle immagini che venivano proiettate alle spalle degli attori su un grande schermo. Il violino di Maurizio Dehò, la chitarra di Luigi Maione e la Fisarmonica di Giampietro Marazza, componenti del Rhapsodija Trio e musicisti fidati di Moni Ovadia, accanto alle fisarmoniche dei rom Kanjarja Naum Jovanovic e Jovic Jovica, hanno messo in risalto i momenti di maggiore intensità del racconto.
Un particolare, martedì sera, catturava l’attenzione di chi entrava nella sala Di Vittorio della Camera del Lavoro: la presenza di oltre un centinaio di rom. Diverse famiglie zingare, infatti, invitate dall’Opera Nomadi, sono accorse per partecipare all’evento loro dedicato. Italiani e zingari stavano seduti gli uni accanto agli altri e nel corso dello spettacolo a nessuno è saltato in mente di protestare se l’attenzione veniva messa alla prova dalle lamentele di qualche piccolo rom stufo di stare composto per un tempo prolungato.
La presenza di tanti rom in sala stupisce per un motivo: nella cultura zingara è vietato parlare dei “mulè”, i morti. Motivo per cui il popolo rom tende a rimuovere il ricordo dello sterminio. La memoria storica di un gruppo, a causa di questo divieto, infatti, dura al massimo tre generazioni.
Testi, immagini e musica, hanno ripercorso, durante lo spettacolo, l’odissea vissuta dal popolo rom. Le voci recitanti di Dijana Pavlovic, Claudio Migliavacca, Daniela Di Rocco e Giorgio Bezzecchi, segretario nazionale dell’Opera Nomadi, si sono intrecciate alle linee melodiche del violino, della chitarra e delle fisarmoniche, dando vita a un dialogo complesso tra voci e strumenti.
La performance finale dei musicisti e la danza inaspettata di Daniela, bimba rom Abruzzese, hanno chiuso lo spettacolo creando un pizzico di eccitazione tra il pubblico che li ha accompagnati e salutati battendo le mani a tempo di musica.
Amare l'arte è benessere
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