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MONDINO IL CORSARO DELL'ARTE. "REVER ET REVENIR"
Da Torino a Parigi, una retrospettiva per conoscere l’arte di Aldo Mondino. Da vedere.

Andrea Tomassoli

Nella variopinta Babele dell’arte contemporanea c’è un artista italiano così vitale ed eclettico da far assomigliare, al confronto, le correnti più audaci dell’avanguardia internazionale al più grigio e vieto accademismo: si tratta di Aldo Mondino, vero dandy del secondo novecento, anarchico e spregiudicato filibustiere della pittura che, con disinvolta facilità, sapeva piegare ogni mezzo artistico alle proprie mutevoli e turbinose esigenze espressive.


Ne ripercorriamo il galoppante, inarrestabile percorso nella bella antologica organizzata da Franz Paludetto al Castello di Rivara, suggestiva dimora a nord di Torino spesso al centro della vita culturale e artistica piemontese.


Immerso nella quiete di una natura antica, il Castello è il silenzioso testimone di almeno un ventennio di incontri ed eventi tra i più significativi nel campo dell’arte: ventennio condensato e ripercorso in questa mostra – non a caso intitolata “1985, Rever et Revenir – 2005, Assente”, come a chiudere un simbolico cerchio.
Nato nel 1938 in quella Torino così prolifica per l’arte figurativa, Aldo Mondino si trasferì appena ventunenne nella Parigi già un po’ decadente in cui la straordinaria stagione dell’Informale si avviava ormai a tramontare.

Lì apprese la tecnica del mosaico da Severini e frequentò, introdotto dall’artista giapponese Ino Domoto, la scuola d’incisione di Heyter all’Atelier 17, la più prestigiosa di quegli anni assieme a quella di Friedlander. “I corsi di quest’ultimo”, raccontava Mondino in un’intervista recente, “erano a pagamento, la gente che li frequentava non mi ispirava, camicie bianche, silenzio assoluto, lampadina verde su ogni tavolo. Chiesi a Domoto di accompagnarmi da Heyter: uno shock, un girone dell’inferno, sporcizia, il nero degli inchiostri dappertutto, una corte dei miracoli, ricordo un’artista nana con il camice sbrindellato appesa alla stella del torchio”.


E’ impossibile tracciare una netta linea di demarcazione che distingua l’energico dinamismo dell’uomo, proverbialmente amante di donne e motori, dalla poliedricità della sua opera. “Tutto ei provò”, si potrebbe dire con espressione manzoniana: non c’è corrente, dal Cubismo alla Transavanguardia, che egli non abbia saputo reinterpretare o perfino anticipare. Postmoderno avant la lettre, costeggiò – o meglio assaltò, e con piratesca voracità – tutto quanto accadeva nel mondo artistico degli anni sessanta: mentre New Dada e Nouveau Réalisme ribollivano nell’ancora indistinto calderone delle sperimentazioni, Mondino pregustava già la Pop Art con una serie di lavori ispirati ai quaderni per bambini (“Il pittore”, 1963), in cui la regressione allo stadio infantile nasconde, di là dall’aspetto ludico e demistificante, l’intento di ripartire da zero, rinnegando progressivamente la sacrale autorità di tutti i padri. “Non ricominciamo coi padri” ammoniva il Candido sciasciano: a suggello della propria estrema – eretica – libertà di pensiero.


Primo fra i “padri” affettuosamente rinnegati da Aldo Mondino è Felice Casorati, nume tutelare nella Torino anni sessanta: uno dei suoi quadri più famosi, “Maternità”, si trasforma, nella rilettura modinesca, in un’icona seriale ripetuta all’infinito, tanto da far pensare alle coeve Marilyn di Andy Warhol. Tornato nella sua città, infatti, Mondino si era legato alla galleria Il Punto di Gian Enzo Sperone, che proprio in quel lasso di tempo si rivolgeva alla Pop Art, sopraggiunta nel frattempo con gran clamore dagli Stati Uniti.


Sempre in bilico tra un dadaismo fuori tempo massimo e precoci incursioni nella pittura selvaggia che dominerà gli anni ottanta, Aldo, con spudorato sarcasmo e come sempre indifferente all’autorità di padri e padrieterni, intitolava una scultura femminile con due grosse bocce da bowling al posto del seno “La mamma di Boccioni”, mentre un busto bronzeo diventava per lui “Busto Arsizio”. Un enorme mosaico di cioccolattini colorati, “Danaublau”, disegna il percorso del Danubio in Europa, mentre un pesce dalle lunghe gambe umane è simbolo di una misteriosa “Iniziazione”.

I ricordi di viaggio, fissati con inarrivabile freschezza e libertà (come la ricorrente “Danse des Jarres” o i tappeti di semi e chicchi di caffè), dominano l’ultima parte della produzione dell’artista. Grandi figure di israeliani, turchi o indiani, appena tracciate con agili tratti di pennello popolano – meglio dire abitano – queste tele preziose e policrome, mentre alcune inaspettate lucertole di neon sguisciano qua e là sulle pareti.


Difficile sintetizzare la smisurata verve creativa di Mondino senza scadere nella mera elencazione. Meglio fare una gita al Castello di Rivara per ammirare direttamente le opere che fino al 30 ottobre vi rimarranno esposte, e lasciarsi piacevolmente incantare dalla suggestione del luogo. Dopo Mondino, lo stesso castello ospiterà, a partire dal prossimo 8 novembre, un’importante collettiva di artisti giovani, “Punto e a capo”, a cura del gallerista torinese Edoardo Di Mauro.

Aldo Mondino - 1985 "Rever et Revenir" - 2005 "Assente"

Castello di Rivara, Piazza Sillano 2 – 10080 Rivara (TO)
25 settembre – 30 ottobre 2005

Sabato e Domenica dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 14.30 alle 19.00 o su appuntamento (possono variare, verificare sempre via telefono)

Telefono: +39 012431122 – Fax: +39 012431122

Email: castellodirivara@libero.it



(05/10/2005) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

  
  
 
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