Una mostra a Milano invita tutti i curiosi a inoltrarsi per un breve, ma intenso, tratto di tempo nel nuovo orizzonte artistico cinese. Si parla di Cina, questa gigantesca estranea, che sta confondendo i mercati del mondo, con la sua volontà ferrea e la sua “allure” da antica fabbrica, che non si arresta mai, neppure mentre il resto del mondo dorme.
Ogni metropoli degna di questo nome annovera, tra i suoi quartieri, una zona totalmente abitata da cinesi. Ma chi sono questi uomini e queste donne, per la maggior parte magra e dai tratti nervosi, che vivono e mettono in moto un numero illimitato di eventi in pochi minuti, tra camioncini, sacchi, carrelli, negozi, scantinati, gridandosi commenti da una parte all’altra rigorosamente nella loro lingua?
Non è facile dirlo, tanto più che i loro occhi sembrano impenetrabili, i loro visi, le loro bocche enigmatiche, soprattutto quando li vedi tutti insieme, inarrestabili, nei loro quartieri generali. Spesso i libri possono aiutarci a decifrare questa Cina molteplice e multiforme, e, forse, ancora di più la loro arte. La mostra ospitata fino al 16 ottobre presso lo Spazio Oberdan a Milano, "CINA. Prospettive d’arte contemporanea", è utile da più punti di vista. Emerge, infatti, l’impressione di una grande voglia di esprimersi, un’energia a volte sottilmente ironica e audace, malinconica, ma, allo stesso tempo, forte. Soprattutto, però, la volontà di raccontarsi, di parlare di ciò che è successo, delle trasformazioni subite e volute, di ciò che sono ora, e di quello che vogliono essere in questo momento nel mondo.
La mostra ripercorre avanguardie artistiche che vanno dal Realismo Cinico al Pop politico.
Citerei, come esempio tra tutti, perché a mio parere è l'artista che meglio incarna entrambe le poetiche, Yue Minjun. Nelle sue opere compaiono perlopiù facce dal riso che sembra pianto, tra il grottesco e il faceto, che si affacciano sole ed enormi da un cielo stile Magritte. O, forse, un cielo che riprende quello dei dipinti rinascimentali italiani, come nel caso del quadro di Minjun, che raffigura il Duca Federico di Montefeltro, quasi identico a quello quattrocentesco di Piero della Francesca. Unica differenza la inquietante presenza di un uomo (autoritratto dell’artista) che ride, si direbbe, alle spalle dell’atavico aristocratico.
Eppure questa “centonatura” sembra naturale e molto più sobria che forzata; quasi la definirei l’immagine disincantata (da un unto di vista di un cinese) di quello che sta succedendo da molto tempo a questa nostra Europa, così attaccata alle sue radici, così orgogliosa del suo passato, ormai diventato una presenza talmente enorme da invadergli il presente e nascondere “il riso” satirico e le nuove correnti che spirano da oriente…Così come la vecchia Cina un tempo si nascose quelle che spiravano da occidente...
Da vedere.
Amare l'arte è benessere
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