Assolutamente da profana, mi avventuro nel tentativo di scrivere qualche cosa su "Desperate Housewives". Questo perché la sera del 12 settembre, avendo acceso la tv con un gesto noncurante e con l’intenzione di andare dopo poco a leggere “La montagna incantata” di Thomas Mann, sono rimasta incollata allo schermo fino alla fine del telefilm.
Forse il mio “commento” può aiutare i tele-fobici, come in parte considero anche me stessa, ad avvicinarsi ogni tanto a questo sedicente e seducente mezzo di comunicazione.
La prima puntata non l’ho seguita dall’inizio, era già cominciata da almeno venti minuti, fino all’ultimo, ho pensato che fosse un film. Non sapevo, infatti, nella mia ignoranza televisiva, che quello che stavo guardando era il “debutto” di un telefilm di successo tanto atteso e già trasmesso su FoxLife (Sky) quest’inverno.
Ebbene, da quell’ora e mezza di attenta visione, i segreti del successo internazionale di "Desperate Housewives" sono risultati essere molteplici. Tra cui, credo, quel suo essere un perfetto esemplare di format che soddisfa chi ha “voglia di distrarsi”, nutrendo confusamente un forte “desiderio di intrigarsi e appassionarsi in quella distrazione”.
E il mix, infatti, è perfetto; la vita quotidiana di quelle sei casalinghe affonda le sue radici negli “archetipi più moderni”, se mi è concesso l’ossimoro, dell’immaginario collettivo. E dico questo non per foggiarmi di una cultura psicoanalitica che non ho, ma perché le loro vite sono un insieme di gesti appartenenti a mondi “esemplari”, “artefatti”, “immaginati” e “veri”.
La loro vita è, insieme, rappresentazione di “vita ordinaria”, “vita da pubblicità”, “vita da rotocalchi”, “vita da film”, “vita da famigliola americana”, “vita tranquilla”, “vita di quartiere”, “vita non noiosa”, “vita di carta”. Tutto questo condito dalla presenza di elementi veri, quanto inquietanti, il suicidio, la falsa tranquillità delle apparenze, il sospetto, il ricatto, la rivalità, il compromesso, i retro-pensieri, il non detto…
Ma l’elemento fondamentale sembrerebbe essere un altro, si tratta di quella alchemica dose di imprevisto, inserita non tanto nella trama, come normale d’altronde, bensì nello scheletro di tutto il format. L’imprevedibilità permea i caratteri dei personaggi, che, sebbene caratteristici e macchiette, sono allo stesso tempo “mobili”, mai solo grotteschi, mai solo “belli”, mai solo simpatici. Allo stesso modo l’imprevisto abita gli eventi che si avvicendano: basta una reazione di un personaggio per passare velocemente da ciò che si immaginava a un moto di riso per ciò che non si immaginava.
L’imprevedibilità è la componente umana, quell’ingrediente che non appartiene a nessun genere, che ci permette di non incasellare da subito in una griglia mentale ciò che percepiamo. Così le protagoniste a volte sfondano il margine del proprio personaggio-standard, stupendo, per poi rientrarvi, lasciando nello spettatore interesse per qualcosa che non sa se si ripeterà, creando attesa e curiosità per ciò che le casalinghe potrebbero tutto a un tratto diventare.
E così nella vita di Susan, Bree, Edie, Gabrielle, Marie Alice e Lynette si incastrano alla perfezione senso del grottesco, mistero e inquietudine, personaggi maschere e umanità. Divertimento e pensieri cupi si alternano, conducendo chi sta guardando in un mondo “pauroso”, ma facile da toccare, sembrerebbe della stessa pasta di cui è fatta la nostra quotidianità.
Più semplice e più alla portata di tutti (almeno così sembra dalla prima puntata), “Casalinghe disperate” presenta alcuni tratti in comune con “Twin Peaks”: tra cui, la molteplicità di piani di lettura degli episodi, così da “appassionare” più gente possibile, e quel fondo di “noire psicologico", che non è giallo, non è thriller, che non fa parte di un “genere” narrativo, ma che risiede nella natura dell'uomo, in bilico tra la “notte” e il ”giorno”, finché lui stesso non sceglie da che parte stare.
Capire, criticare, divertirsi, non assuefarsi è benessere
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