Gaber attraverso ciò che Gaber amava (la comicità di Albanese, le canzoni di Barbarossa), Gaber attraverso la sua eredità (un ottimo Andrea Rivera, che ha capito che Gaber non si può “e non si deve imitare”, ed ha quindi deciso di tentare una via personale al Teatro Canzone), Gaber attraverso le sue prese di posizioni “scomode” (rappresentate dalle parole di Walter Veltroni, ma soprattutto di Curzio Maltese, come sempre attento e puntuale nei suoi interventi).
Per una volta, una serata che non accontenterebbe tutti gli spettatori di una eventuale diretta tv. Una serata dedicata a Gaber, dove non si ha paura di raccontare quello che Giorgio era, quello che per molti rappresentava, quello in cui lui in fondo credeva.
Un Gaber che vive oggi nelle battute di Albanese, nelle canzoni di Barbarossa, nelle esibizioni di Rivera, ma soprattutto nella memoria, nell’animo, nella coscienza di tutti quelli che nei teatri hanno riso, hanno pianto, ma soprattutto sono cresciuti con lui.
Perché, come ha detto Barbarossa, quando si andava a vedere uno spettacolo di Gaber, si usciva trasformati.
Ora la palla passa a Rivera e a tutte le nuove leve che di Gaber devono prendere lo spirito, la libertà di cui godeva (ben espressa da Fabrizio Zampa), l’originalità di pensiero di un uomo che mai fu personaggio e sempre fu persona.
Una delicata, profondissima persona, che ha cambiato per sempre il modo di far teatro, avendo il coraggio di andare contro tutto e tutti, di gridare tutta la sua rabbia, il suo disprezzo verso le realtà che osservava. Finendo però immancabilmente con il dare una piccola speranza ai suoi spettatori. Un sorriso, un blocco allo stomaco, che ti faceva uscire dal teatro, con una profonda consapevolezza di come le cose non funzionassero. E un’altrettanto intensa voglia di cambiare le cose.
E pensare che c’era Giorgio Gaber…
Amare l'arte è benessere
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