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Ciò che rende straordinaria la scrittura della Blixen, e che salta subito agli occhi leggendo uno qualsiasi dei suoi racconti, è la fluidità narrativa con cui vengono sviluppate le vicende proposte al lettore, una fluidità che ha qualcosa di unico nel panorama letterario del primo Novecento.

In un periodo in cui anche i migliori ingegni si affannavano per essere originalmente moderni, per sentirsi al passo con i tempi nuovi, la Blixen trovò per i suoi racconti uno stile talmente antico da risultare del tutto diverso da quello dei suoi coetanei: era lo stile delle antiche narratrici di favole, era lo stile eterno di chi nell’intimità dell’alcova poteva confidare solo nel potere affabulatorio delle proprie storie per poter sopravvivere, era, rinato sorprendentemente in piena epoca di avanguardie, lo stile avvolgente e irresistibile di Shaharazad nelle Mille e una notte.

Perché la Blixen fu davvero nella letteratura del secolo scorso una Shaharazad estranea a scuole e correnti, che non si curava di teorie e di sistemi letterari, convinta come era che le uniche verità che potevano essere accessibili agli uomini erano quelle che loro potevano ricavare dal racconto delle proprie storie.

Per questo motivo un narratore se voleva essere tale doveva, oggi come ai tempi delle Mille e una notte, essere eternamente, inflessibilmente fedele ai suoi racconti, perché solo se lo fosse stato, solo se avesse messo al centro di ciò che scriveva, non le teorie o le ideologie di moda, ma la libera verità della sua immaginazione, avrebbe servito la storia che narrava, e sarebbe giunto così, dopo aver pronunciato l’ultima parola del suo racconto, a far ascoltare a chi lo avesse seguito l’unica voce che davvero da sempre conta: quella del silenzio.

Inutile aggiungere che questa voce del silenzio risuona più volte al termine di queste storie gotiche, e forse tocca il suo apice nel finale della prima, indimenticabile narrazione, quel “Diluvio a Norderney” che Orson Welles, lettore innamorato della Blixen, non riuscì mai a portare sul grande schermo.



(14/04/2005) - SCRIVI ALL'AUTORE


Amare l'arte è benessere

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