“Il Conte Augusto von Schimmelmann, un giovane danese d’indole piuttosto malinconica, la cui prestanza era sciupata da una certa tendenza alla pinguedine, stava scrivendo una lettera su un tavolo fatto con una pietra da mulino, nel giardino di un’osteria nei pressi di Pisa, in una bella sera di maggio dell’anno 1823. Poiché non riusciva a finirla, si alzò e andò a fare quattro passi per la strada maestra, mentre la buona gente della locanda gli preparava la cena. Il sole vicino al tramonto dardeggiava raggi d’oro tra gli alti pioppi a fianco della strada. L’aria era tiepida e pura e piena d’una dolce fragranza d’erbe e di piante, e innumeri rondini saettavano alte e basse, quasi non volessero perdere nemmeno un minuto di quell’ultima mezz’ora di luce.”
Non so voi, ma io ho letto raramente un primo capoverso di un racconto così apparentemente semplice ed efficace. In queste poche righe c’è tutto: la presentazione di quello che probabilmente sarà il protagonista della storia; il luogo e il tempo in cui si trova a vivere questo probabile protagonista principale; l’accenno a un impedimento, il non riuscire a finire una lettera che si sta scrivendo, che crea in chi legge il classico desiderio di saperne di più: perché il Conte non riesce a finire questa lettera?, a chi sta scrivendo?; e, infine, lievi ed accurati tocchi paesaggistici che sembrano volerci condurre su quella stessa strada maestra lungo la quale il Conte ha cominciato a fare quattro passi per cercare di alleggerirsi di un po’ di quella presumibile tensione che lo sta rendendo inquieto.
Autrice di questo memorabile incipit e degli altri racconti che compongono questo autentico classico del novecento intitolato “Sette storie gotiche”, edito da Adelphi con la traduzione di Alessandra Scalero, rivista poi da Adriana Motti, è la scrittrice danese Karen Blixen, che con questo libro esordì nel mondo della letteratura nel 1934, a quasi cinquant’anni.
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