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SENO E POESIA
Preferenze, ispirazioni, versi e sonetti sull’emblema della femminilità.

Santa Impellizzieri

Il poeta che esprime il seno modella su esso le emozioni che diventano parole riflesse dalla maschera umana catturata dalla fascinazione.
Cantato in tutti i tempi rivive in versi come forza di desiderio, carezza sognata, segreto augurio da cui l’occhio ne contempla la verità corporea che si trasforma in ispirazione.
Ma anche negato, odiato, solo immaginato, il seno diventa protagonista di desideri, proiezioni e sogni diversi per ognuno.

Dechamps, poeta francese, evoca «fianchi larghi e seno rigoglioso», mentre mezzo secolo più tardi Villon, che diceva di amare i seni piccoli e alti, canterà «i piccoli capezzoli e le anche carnose» della bella sposa dell’armaiolo.

Baudelaire li prediligeva grossi e sodi. «Alabastrini» o «marmorei» scriveva, come quelli di Jeanne Duval, sua compagna e musa fino alla morte. Flaubert adorava i seni bianchi e compatti e Verlaine, malgrado la sua omosessualità palesemente ostentata e l’amara gelosia per Rimbaud che gli costò due anni di duro carcere, cantava i seni potenti, orgogliosi e inarcati, proprio come le natiche. Cosi scriveva: «Seni che siete un frutto saporito per la lingua e la bocca all’infinito».

Theophile Gautier, appassionato sostenitore del Romanticismo, preferiva circondarsi di donne coi seni molto grossi. Così descrive una giovane sepolta sotto la lava del Vesuvio nel 79 d.C. della quale è rimasta la sola impronta del seno: «Un pezzo di cenere nera coagulata: si sarebbe detto un frammento dello stampo di una statua spezzatasi durante la fusione; l’occhio esercitato di un artista vi avrebbe facilmente riconosciuto la linea di un seno stupendo e di un busto di stile puro come quello di una statua greca. [...] Per un capriccio del destino questa nobile forma, divenuta polvere da duemila anni è arrivata fino a noi; la rotondità di un petto che attraversa i secoli mentre tanti imperi scomparsi non hanno lasciato alcuna traccia!» .


  
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