Secondo Plinio il Vecchio, l’usanza di distribuire dolci il giorno di Natale risale ai tempi dei Romani, quando ancora non si celebrava la nascita di Gesù Bambino ma la festa del solstizio d’inverno, Natalis solis invicti, nata presso i Celti per propiziare il ritorno della luce nelle lunghe giornate di primavera. Così, a Roma venivano preparati dolci di farina di mais, di colore giallo, come simbolo del ritorno della luce.
Il più famoso dei dolci natalizi è il classico Panettone, vuoi con l’uvetta, con i canditi, oppure con entrambi, anche se è consigliato mangiare un panettone ricco di uvetta per propiziare i denari dell’anno avvenire (un po’ come le lenticchie l’ultimo dell’anno).
Questo dolce di origine milanese nasce nel 1400, quando il falconiere di Ludovico Moro, tale Ughetto, si innamorò di Adalgisa, figlia di un fornaio. Il ragazzo, per ingraziarsi il padre dell’amata, inventò la ricetta di un dolce di Natale talmente buono, il Panettone appunto, che gli affari “lievitarono” ed il fornaio, impressionato dall’intraprendenza e dall’amore del ragazzo, decise di concedergli la figlia. Inizialmente, infatti, il Panettone venne chiamato Pan dolce con l’uga, dal milanese “I bei panett cont i ughett”.
Ma il nome attuale deriva da un’altra leggenda, secondo cui il dolce fu inventato da un servitore di corte che, sotto gli Sforza, cercò di rimediare al disastro del capo cuoco che aveva fatto bruciare il dolce di un’importante cena. Il servitore, che non ricevette alcun ringraziamento, si chiamava Toni, e così El pan del Toni divenne Panettone.
In realtà, sia Ughetto che Toni avevano semplicemente aggiunto burro, uova, uvetta e cedri canditi alla ricetta di un tipico dolce natalizio, il semplice pane di Natale, un pane dolce su cui, al momento della cottura, veniva incisa una croce in segno di benedizione.
Il pane di Natale veniva mangiato durante la Cerimonia del Ceppo: secondo una tradizione legata all’albero di Natale, un ceppo di quercia veniva fatto bruciare dentro il camino. Il fuoco, segno purificatore, era acceso con un rametto di ginepro e spruzzato con del vino, il cui calice veniva poi fatto passare a tutti i membri della famiglia. Il capofamiglia gettava una moneta nel fuoco e ne distribuiva altre ai parenti. Quindi, gli venivano presentati tre pani di frumento, simbolo della Trinità, di cui una piccola parte veniva conservata per il Natale successivo.
Ma di dolci natalizi che hanno per base la gialla farina di mais, oltre al Panettone ce n’è per tutti i gusti: dal Pangiallo romano, con uva sultanina, pinoli, mandorle, spezie e ricotta; al Panspeziale bolognese, fatto di miele, zucca cotta, scorza di melangola e pepe; al Pandolce genovese di pinoli, uvetta, canditi, scorza di limone e marsala; fino al famosissimo Pandoro veronese.
Nato intorno al 1500, il Pandoro era un dolce riservato ai nobili veronesi, che potevano permettersi di acquistare il dolce rivestito di sottili sfoglie d’oro zecchino, da cui il nome.
Secondo altre fonti, il Pandoro ha origine dalle brioche francesi che, passate alla corte asburgica, furono reinventate con l’aggiunta di burro e uova, e lavorate a strati fino a creare un dolce alto e compatto.
La tipica forma a stella del Pandoro deriva da quella del Nadalìn, un antico dolce natalizio veronese, un tempo ricoperto di zucchero, pinoli e liquore all’anice, sostituiti dall’800 con uno strato di zucchero a velo.
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