HOME 
CURA DEL CORPO - CURA DELLO SPIRITO - CURA DEL PIANETA - ALIMENTAZIONE - MODA - ESTETICA - VIAGGI - CORSI E SEMINARI - FIERE E CONGRESSI
 VIDEO 
L'ORTO BOTANICO - 100 PAROLE SU - NON SOLO RECENSIONI - GUARIGIONE COME CRESCITA - ANGOLO DELLA PSICOLOGA -DOSSIER-
per Titolo/Descrizione/Autore Contenuto Articoli
ARCHIVIO 

 
Pagina 1 di 2
TRUCCO E PARRUCCO NELL'ANTICA ROMA
Tonsores, ornatrices, “dropacisti”... erano questi gli esperti professionisti della bellezza ai quali ricorrevano uomini e donne dell’antica Roma, già estremamente attenti al loro aspetto estetico.

Donatella Cerulli

La donna romana, appena sveglia, dopo sommarie abluzioni passava subito a sistemarsi i capelli che, dall’epoca di Messalina, si acconciavano in complicatissimi riccioli o in trecce sistemate in numerosi giri, alti sul capo come torri.
Per sistemare queste elaborate architetture le donne romane ricorrevano all’abilità delle ornatrices, provette pettinatrici che sottoponevano le signore a lunghe e dolorose sedute di bellezza.

Come i loro padri, mariti o fratelli, anche le romane amavano tingersi i capelli, soprattutto di biondo e per rendere chiari i loro capelli le donne dell’antica Roma erano disposte a qualsiasi sacrificio, come ricorrere ad una tintura ritenuta «insuperabile»: un intruglio a base di sanguisughe e uova di corvo lasciate a macerare in vino rosso per due mesi. La mistura veniva venduta a peso d’oro ed era considerata talmente «forte» che si consigliava, per precauzione, di «tenere la bocca piena d’olio» durante l’applicazione.

La signora che non osava rischiare un’intossicazione, stringeva i denti e affidava i suoi capelli grigi all’ornatrix che le strappava, senza pietà, i capelli bianchi, la pettinava, la depilava e, infine, la imbellettava: gesso di biacca veniva passato sulla fronte e le braccia, le labbra e gli zigomi venivano tinti di rosso con ocra o feccia di vino, le ciglia e il contorno degli occhi dipinti di nero con fuliggine o polvere di antimonio.
Anche l’uomo romano, appena alzato, si preoccupava innanzitutto del suo aspetto fisico e, dopo una fugace colazione, usciva presto da casa per precipitarsi dal tonsor, il barbiere, che esercitava il suo mestiere in una delle tante botteghe della città o per strada, all’aperto, per la clientela più povera.

La tonstrina era arredata con panche poste tutte intorno alla stanza sulle quali sedevano i clienti in attesa, mentre altri aspettavano in piedi, rimirandosi negli specchi appesi ai muri. Al centro della bottega, seduto su uno sgabello, il cliente di turno si affidava alle mani del tonsor che, assistito dai suoi aiutanti, gli tagliava barba e capelli, mentre tutt’intorno si intrecciavano pettegolezzi e maldicenze, si scambiavano notizie e, magari, si concludeva qualche “affaruccio”...

Siccome le forbici di quei tempi lasciavano alquanto a desiderare e il taglio “a scalare” non era di moda, gli elegantoni di allora si facevano arricciare i capelli, non disdegnando tinture, profumi, belletti e, perché no, qualche bel neo finto che desse un po’ di vivacità ad un volto troppo scialbo.
Stravaganze a parte, i Romani nutrivano nei riguardi della rasatura il più grande rispetto e il primo taglio della barba di un giovane era celebrato con una cerimonia religiosa, la depositio barbae.
La peluria recisa veniva conservata in un cofanetto e poi consacrata agli Dèi; la solennità era celebrata da ricchi e poveri con festeggiamenti e banchetti ai quali partecipavano parenti e amici della famiglia.


  
1 | 2
 
  invia articolo per e-mail stampa l'articolo