Ironicamente, e neanche tanto, penso che questo possa rientrare pienamente tra gli obiettivi della politica mondiale di andare verso la globalizzazione, non solo economica… ma anche degli esseri umani.
La notizia, corredata da dati statistici, indica che a partire dagli anni ’90 l’uso di psicofarmaci in età evolutiva si è attestato tra il 10 e il 20% della popolazione infantile nord americana.
In particolare, un rapporto pubblicato nel Journal of the American Medical Association da Zito e altri, ha dimostrato che le prescrizioni di stimolanti, tra cui derivati delle anfetamine, a bambini dai 2 ai 4 anni è triplicato negli ultimi anni.
La giustificazione per tali prescrizioni è la diagnosi di deficit d’attenzione iperattivo formulata sui bambini soprattutto in età scolare. Bambini considerati ingestibili per la loro vivacità, dei quali si vogliono prevenire possibili futuri atti di delinquenza e il cui comportamento va quindi controllato.
Lo sconcerto che mi provoca l’osservazione di questa realtà mi porta a chiedermi, anche per deformazione professionale, quale ruolo a questo proposito svolgano figure quali gli psicologi scolastici e gli insegnanti e che tipo di responsabilità si sentano i genitori di queste vittime.
E’ molto facile firmare una delega, da parte delle varie figure di riferimento di un essere umano che sta crescendo, alla miracolosità di uno psicofarmaco perché gestisca la difficoltà di affrontare una realtà non molto rigida e schematica quale quella infantile.
Voglio dire che, osservando l’aumento vertiginoso della diagnosi di deficit d’attenzione iperattivo in bambini in età scolare, sorge il dubbio che sia un modo facile per deresponsabilizzarsi e creare così una catena viziosa tipo: genitore delega insegnante, insegnante delega figure professionali specifiche quali psicologi, psicologi segnalano a strutture mediche che a loro volta delegano allo psicofarmaco la soluzione del problema dei bambini iperattivi.
Secondo il DSM IV (Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali), per formulare questo tipo di diagnosi è necessario osservare la presenza di un certo numero di atteggiamenti tipici perché si possa considerare una vera patologia da trattare con qualche metodologia, che comunque non necessariamente è quella farmacologica.
A mio avviso il ricorso ai farmaci sarebbe da considerare come ultima spiaggia, visti gli effetti collaterali negativi sia di quelli stimolanti che di quelli sedanti che vengono somministrati in questi casi. Ad esempio, l’uso di stimolanti come le anfetamine predispone all’abuso di droghe in età adulta, crea dipendenza, danneggia la crescita e le cellule cerebrali e produce solitamente depressione e ansia (quindi la necessità di somministrare altri farmaci), sopprime le forme di comportamento spontaneo, quali esplorazione, socializzazione e gioco, aumenta i comportamenti ossessivo-compulsivi con conseguente isolamento e rigidità mentale, ecc, ecc. ( cfr. ancora Peter Breggin, M.D., Il Controllo dei Bimbi con gli Psicofarmaci).
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