Tutti sanno, per averlo appreso da tv e giornali, che da qualche giorno purtroppo è tornato in auge l’argomento ‘aborto’, con una moratoria lanciata dal Foglio di Giuliano Ferrara e da una parte del mondo politico ‘laico’, sostenuta poi dalla comunità ecclesiastica fino al Sommo Pontefice, per una revisione della legge 194. Molti parlamentari, dunque, direttori di quotidiani, vescovi… tutte categorie che col mondo femminile entrano in contatto poco e malamente.
Tra questi c’è addirittura chi pensa che proprio a causa di tanta attenzione –ma quale?- ai diritti delle donne il nostro sia diventato un Paese in declino, e chi individua nella vanità femminile la causa dell’indisponibilità ad avere figli o a concludere gravidanze. Le donne, insomma, troppo occupate a rifarsi seni, ad andare in palestra, a cercare inutilmente di far carriere in medie e grandi aziende –roba da scompisciarsi!- sacrificano quella che è invece da sempre e per divina volontà la propria missione sulla Terra, e anzi il fine ultimo della propria esistenza: partorire figli all’umanità.
Almeno –dicono questi avanguardisti dell’anima- rendiamogli le cose difficili! Non si capisce bene a chi giovi una ‘revisione della 194’ che, dopo averla letta, pare addirittura miracolosa per quanti cavilli e specifiche e richiami contenga al senso di responsabilità verso la vita, alla tutela della volontà e della salute della donna, al sostegno che lo Stato deve a chi per problemi familiari o economici rinunci a un figlio voluto. La donna è proprio il centro di questa bella e faticosa legge, che già tanto è costata in formulazione e dibattiti e campagne di sensibilizzazione in un’Italia perbenista, gerontocratica e vaticana.
Ora, dopo anni di applicazione e di risultati che ne dimostrano l’efficacia, si vorrebbe rimettere tutto il discussione. Si parla di una riduzione delle settimane in cui poter intervenire: dalle 25 attuali alle 22 proposte, visto che le tecniche moderne consentono la sopravvivenza del neonato anche così precoce. Ma quello che non torna, nel tentativo di far quadrare i conti, è che questo genere di richiesta, discussa e discutibile, dietro cui si cela lo spettro di troppi soprusi e di troppa violenza perpetrata sull’“altra metà del cielo”, non sia frutto di un’esigenza femminile. Così evidente, così eclatante che nessuno se ne accorge.
Se un bel giorno qualcuna delle donne con diritto di parola si svegliasse con l’idea di bandire una moratoria per rendere gli uomini meno sterili, meno grassi, meno calvi, meno grossolani, meno infedeli –tutte cose che compromettono la loro e altrui salute per non dire il destino di tante famiglie- la questione si risolverebbe in una sconcertante, duratura risata. Invece il ruolo delle donne in questa e in altre società –su molte delle quali rivendichiamo il diritto a portare ventate di democrazia- è deciso dall’uomo: è lui che assegna le parti e stabilisce per le donne uno scopo, che decide di cosa hanno bisogno.
Fosse per le donne ci sarebbe da chiedere –per questa legge come per altri articoli della nostra Costituzione- non la revisione ma l’applicazione piena della regola. La 194 prevede che lo Stato, attraverso gli enti locali e le strutture addette, si occupi di individuare assieme alla donna “le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”.
Non ci sono nemmeno gli asili, non esiste nemmeno il part-time, scivoli e altalene si accampano in parchi due metri per cinque ricavati agli incroci del traffico cittadino. Incentivare la crescita demografica è compito ben più arduo, e non si risolve sollevando dubbi su diritti civili acquisiti. A poco servirà ridurre le settimane consentite per interrompere la gravidanza: il problema resta quello di dare un futuro decente a chi nasce e alla madre da cui viene, da cui dipende naturalmente. Bisognerebbe chiedere alle donne cosa vogliono e poi starle a sentire. Forse ci sarebbe meno bisogno di pillole.
Dall'unione dell'anima e del corpo nasce il benessere
|