E’ morto Enzo Biagi…
Questa proprio non ci voleva. In queste ore televisioni e giornali si affannano a ricordarlo, a ricostruire la sua straordinaria carriera, a tesserne le lodi. Ci pare quindi inutile su queste pagine soffermarci su quanto lui ha detto, scritto o fatto, negli anni.
Meglio cercare di trarre qualche spunto dalla sua persona e dalla sua carriera.
Chi scrive ha due ricordi fondamentali di Enzo Biagi. Il primo è un’enciclopedia a fumetti che sfogliavo quando ero bambino con poca convinzione. Il secondo è l’Enzo Biagi del “Il Fatto”, del disgustoso e ripugnante editto bulgaro che l’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi emanò, della breve ricomparsa di Biagi ospite da Fazio a “Che tempo che fa”, del suo ultimo libro, “Quello che NON si doveva dire” e infine del suo ritorno televisivo, pochi mesi fa, sugli schermi di Rai Tre, con “RT- Rotocalco Televisivo”.
E sì, perché alla fine, proprio in extremis, Biagi era riuscito a tornare in televisione. Ma in queste ore di lutto e di dolore, ma anche di pace e serenità per il modo straordinario in cui il grande giornalista ha percorso gli ultimi passi di questa sua vita, non posso non soffermarmi su due sentimenti che si accavallano dentro di me: rabbia e malinconia.
Rabbia perché le nostre televisioni mi hanno, ci hanno derubato per cinque anni di uno dei pochi giornalisti ancora degni di tale nome. Cinque anni non sono pochi. Eppure, in questa pseudo-democrazia è stato possibile anche questo. E nessuno ha voluto veramente intervenire per rimediare a questa ferita. Rabbia perché le conseguenze di certi gesti si propagano negli anni.
Proprio pochi giorni fa, è tornato in tv Daniele Luttazzi, anche lui epurato insieme a Biagi e Santoro.
La trasmissione di Luttazzi iniziava riproponendo le parole con cui il “cavaliere” intimò la sospensione dei tre pensatori, troppo liberi per l’Italia che lui rappresentava. Un brivido mi ha percorso la schiena. Il buon Silvio che finge di non ricordare il nome di Santoro. Il buon Silvio che parla di uso criminoso della televisione riferendosi a “Il fatto” di Enzo Biagi.
E così Luttazzi ha iniziato la sua trasmissione con una pernacchia e l’ha portata avanti faticando a trattenere rabbia e rancore e, forse, spuntando la sua arma migliore, che era l’ironia, scalfita da tanto livore.
Anche Michele Santoro ha subito un destino analogo, anche se forse fra i tre è quello che è riuscito ad assorbire meglio la censura dittatoriale.
Ma Enzo Biagi… Mai dimenticherò le lacrime di Biagi, ospite da Fazio, quando con grande dolore parlava della sua assenza dalla Rai.
Biagi era un signore. Un maestro.
Qualche volta ha sbagliato. Probabilmente sbagliò quando invitò il giorno prima delle elezioni Roberto Benigni in trasmissione e quest’ultimo incitò a votare contro Berlusconi.
Ma uno sbaglio, se di sbaglio si trattò, non può certo nemmeno lontanamente giustificare ciò che accadde in seguito. Biagi non fu multato o sospeso temporaneamente. Biagi fu “epurato”.
E qui alla rabbia si sostituisce la malinconia. La malinconia per non aver avuto la fortuna di incontrare Enzo Biagi di persona. Il dolore per aver sempre rinviato il tentativo di contattarlo, di stringergli la mano, di implorarlo di fare parte del suo staff.
E adesso ciò non sarà più possibile.
Ma tra la malinconia e la rabbia, alla fine si affacciano altre due emozioni, diverse, migliori. La gratitudine e la speranza.
La gratitudine per ciò che Enzo ha rappresentato per questo paese e per la professione giornalistica. La gratitudine perché il destino ha concesso a Biagi di tornare in televisione prima di lasciarci per sempre.
La speranza perché davvero credo che il nostro paese in questi anni abbia toccato il fondo e che quindi la nostra situazione politico-sociale-mediatica non possa che migliorare.
Riportiamo qui di seguito le parole del cosiddetto “Editto Bulgaro” al quale seguì l’epurazione di Biagi, Santoro e Luttazzi:
“L’uso che Biagi - come si chiama quell’altro? - Santoro, Luttazzi, hanno fatto della televisione pubblica pagata con i soldi di tutti, è un uso criminoso e io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga”.
Vai all'articolo: L'assenza di Biagi e il giornalismo moderno
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