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CANILI A RISCHIO. MA DOVE VANNO LE SOVVENZIONI?
Commissionare ai privati la gestione dei canili affinché questi possano occuparsene nel modo migliore, per aiutare gli animali già vittime della crudeltà dell’uomo, non sempre è una buona idea.

Azzurra De Paola

Immaginiamo un’amministrazione locale oberata di lavoro e sommersa dalla burocrazia e dalle sue scartoffie. Immaginiamo poi un privato lodevole, spinto dal desiderio di fare del bene che decida di assumersi l’onere di provvedere alla gestione di un canile.

Il privato in questione ottiene dalla pubblica amministrazione da 2 a 7 euro al giorno per provvedere alle necessità dei cani e del canile, spesso queste concessioni arrivano grazie a gare d’appalto al ribasso d’asta. Se vi aggiungiamo l’attività lucrativa che si svolge all’interno di un canile, le statistiche parlano di un giro d’affari di 500 milioni di euro intorno all’abbandono degli animali.

Quindi, se le strutture pubbliche sono a tal punto carenti nei servizi offerti, che le amministrazioni pubbliche preferiscono, con gare d’appalto altissime, elargire contributi a chi decide di occuparsi della gestione privata di un canile, è facile, a questo punto, intuire come l’interesse per i canili sia tanto elevato.

Il problema nasce quando dietro la facciata di un canile si cela invece un lager dove gli animali vengono tenuti in condizioni pessime – al punto che la mortalità dei “detenuti” arriva fino al 60%. La cifra è altissima se si pensa che sono vite che si spengono, vite che prima c’erano e poi, per la non curanza delle persone, non ci sono più. Nonostante le denuncie ed il monitoraggio di molti canili, gli animali si trovano spesso in gabbie dove non sono rispettati neppure i requisiti minimi: 2 metri quadri per cane, cucce o ripari nelle gabbie, ciotole per mangiare e tettoie che non siano semplici lamiere, recisione delle corde vocali per arginare l’inquinamento acustico.

Il sovraffollamento e le condizioni inumane in cui sono costretti a vivere gli animali provano due volte la crudeltà dell’uomo: prima l’abbandono, poi la prigionia.
Finalmente, il diritto ad una buona vita non è opinabile e non riguarda solo i maltrattamenti fisici ma anche i soli patimenti, come ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n.2774 del 21 gennaio 2006 in cui ha condannato il gestore di un canile per il reato di detenzione di cani in condizioni incompatibili con la loro natura. E, perché si sappia, i canili lager (www.nolager.com) sono luoghi degni di un film dell’orrore: celle fatiscenti di metallo arrugginito, cani malati e malnutriti che vivono a contatto con i loro escrementi e che in tali condizioni sviluppano forme di aggressività e cannibalismo che poi giustificano il loro abbattimento – se prima non li ha uccisi la fame o qualche malattia.

Per fermare questo traffico in cui si commerciano vite non serve solo la legge. Ma l’impegno di tutti a non trattare gli animali come giocattoli che si possono buttar via all’occorrenza: l’uomo non è il padrone ma soltanto l’amministratore del pianeta e un giorno dovrà render conto della sua gestione (Milan Kundera, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”).


(11/10/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


Conoscere la terra che abiti è benessere

  
  
 
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