“Signor direttore, da un po’ di tempo a questa parte, da vari partiti politici, dal governo viene lanciata al popolo italiano una specie di nuova formula propagandistica: ‘il miracolo economico e sociale’, quasi a voler compensare in tali parole i miracolosi risultati raggiunti in un quindicennio di democrazia. Le chiedo: le pare esatto parlare di miracolo economico e sociale? Vivo a contatto con il mondo economico e commerciale, vivo in mezzo al popolo, e posso dirle con tutta franchezza che il benessere, di cui tanto si parla, è soltanto apparente.
Oggi si è instaurato un nuovo sistema di vita. Bandita l’idea del risparmio, la quasi totalità della popolazione è indirizzata verso spese e impegni superiori ai propri guadagni, con conseguente sbilancio economico (fallimenti e protesti in continuo aumento). Non le pare, signor direttore, che le autorevoli affermazioni del governo contribuiscano a creare nelle masse popolari una pericolosa euforia, che potrà avere ripercussioni nella mentalità, nel costume del popolo?”
La lettera è datata 10 maggio 1962! 45 anni di distanza e la sensazione espressa dall’avvocato Giovanni De Augustonis al direttore del settimanale Oggi, allora Emilio Radius, è non solo vivissima ma sempre più allarmante. Intanto il contenuto della missiva spazza via qualsiasi sentimento nostalgico volto al passato e alla pia illusione che sia esistito in Italia un periodo d’oro dell’economia, quello appunto del ‘miracolo’, del ‘boom’ come ce lo vogliono raccontare i documentari in bianco e nero: centinaia di Fiat Seicento in uscita dai concessionari e numerosi elettrodomestici pronti a fare il loro ingresso nelle case delle italiane.
Certo, riprendersi dal periodo orribile e miserabile della guerra fu più semplice di quanto lo sia per noi oggi sopravvivere a una pace apparente ma altrettanto micidiale. Allora c’erano le rovine da spazzare via per ricostruire: oggi si costruisce abusivamente e malamente, spesso su rovine di duemila anni fa di cui non si comprende più il valore. Ma gli italiani si indebitano oggi e si indebitavano già allora: le cambiali hanno lasciato spazio alle rate, all’acquisto ridotto in pezzi e prolungato lontanissimo nel tempo. Si vive al di sopra delle proprie possibilità, il desiderio del popolo è volto tutto al possesso di oggetti più che di garanzie, di cultura, di servizi, di beni comuni. L’italiano ha ancora ‘fame’, ma di status più che di Stato.
L’aspetto mostruoso di questa piccola perizia di cronaca è che in quasi cinque decenni –un tempo immenso rispetto all’accelerazione scientifica e al progresso tecnico- la situazione sociale sia praticamente immutata e dà materia a molte riflessioni, anche di carattere politico. Cosa ha saputo dare questo ‘sistema’ al popolo italiano? Quale governo, quale economia ha davvero cercato l’interesse del cittadino invece del proprio? E gli italiani cosa hanno chiesto e con quale forza, con quale coscienza del diritto? Sarà bene riportare anche la risposta del direttore alla lettera, poche righe ancora, molto stupore. Ancora.
“Il ‘miracolo’ economico è comune a molte nazioni dell’Occidente. Maggior benessere, relativo e in parte assoluto. Minor miseria nei Paesi dove c’è miseria. Al miracolo economico credono i partiti di destra o centro-destra, che se ne attribuiscono il merito; e credono i partiti di sinistra, che vogliono distribuita tra tutti i ceti la nuova prosperità. Ci credono meno i cittadini indipendenti, come lei, signor avvocato, e io. I cittadini indipendenti vorrebbero vederci più chiaro, non è così? Comunque, se chi sta meglio di una volta spende di più e fa più debiti, se lascia andare le cambiali in protesto e fallisce, per lui in realtà si stava meglio quando si stava peggio.
E poi i prezzi tendono ad alzarsi, ad avvicinarsi a quelli dei Paesi ricchi da un pezzo. Tra qualche decina di anni saranno anche in Italia al livello degli Stati Uniti, dove chi guadagna ad esempio quattrocentomila lire è come se ne guadagnasse duecentomila da noi. Gran parte di questo progresso è dunque apparente. Si vive più comodamente e si hanno maggiori preoccupazioni, ci si accontenta meno di una volta, non si cammina ma si è costretti a correre, a correre sempre. Si pena perché si è poveri e si pena perché si è ricchi. Nemmeno la ricchezza conduce più alla serenità. Gli uomini saranno domani tutti agiati e tutti contenti? È vero che, secondo recenti statistiche, più di un miliardo e mezzo di persone soffre ancora la fame. Non hanno problemi di lusso, costoro”.
In una cosa soltanto si nota il passare del tempo, da questa corrispondenza ai giorni nostri. Allora il vocabolario era più frequentato di oggi: mittenti e destinatari scrivevano assai meglio.
Dall'unione dell'anima e del corpo nasce il benessere
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