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Dopo averle tenute per dieci giorni in una gabbia ed averle sottoposte ad ogni tipo di misurazione e controllo, Mengele e gli altri medici passarono ad iniezioni nella spina dorsale ed in altre parti del corpo che causavano alle bambine vomito, senso di svenimento e forti mal di testa. “Scappai più volte – racconta Vera – per andare a cercare mia madre ed ogni volta Mengele mi punì ma io non mi rassegnai neppure quando, una volta, dopo avermi picchiato con uno stivale senza però uccidermi, io non piansi e lo guardai fisso finché non abbassò gli occhi davanti a me che non avevo paura di lui: Vedremo chi è il più saggio tra noi disse, andandosene.

Un’altra donna, giunta ad Auschwitz con sua sorella gemella nel 1943, racconta che le fecero trasfusioni con due gemelli maschi della loro stessa età e che, poiché si ammalarono, rimasero in ospedale per due giorni; dopo la guarigione, le utilizzarono per sperimentare se gemelli fecondati da altri gemelli producessero gemelli: quando la donna si rifiutò di sottostare all’esperimento, Mengele osservò Tu sei solo un numero, non puoi dire niente. Ma la liberazione interruppe gli esperimenti prima che fossero portati a termine.

Due tra le tante esperienze di gemelli “capitati” sotto i guanti bianchi di Mengele vennero esposte durante il processo che portò il tribunale di Yad Vashem, il 4 febbraio 1985, a dichiarare Josef Mengele colpevole di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e, fra questi, crimini contro il popolo ebraico. Questa condanna, sfortunatamente, giunse post mortem e le sue vittime non hanno potuto vedere il compiersi della giustizia; i governi occidentali hanno la colpa di non averlo perseguito nel corso degli anni dell’esilio e successivi. Nel 1985, per accertarne la morte, fu riesumata la salma ed un esame del DNA confermò che il corpo era di Josef Mengele: la “giustizia divina” lo aveva raggiunto prima di quella legale.

Delle vicende drammatiche venute a galla nel corso degli anni sugli orrori dei campi di concentramento, vale la pena ricordare fino a che punto si spinse il mito della razza: non era solo il buonsenso, la giustizia, l’umanità a mancare ma quel senso di responsabilità e rispetto verso la vita di tutti quelli che sono altro rispetto all’io. Nonostante siano stati compiuti altri massacri, altri genocidi, altri orrori, i campi di concentramento nazisti sono l’emblema di una convivenza tra popoli che prosegue – tutt’oggi – a suon di bombe ed umiliazioni.

Nel 2007 cade il sessantaduesimo anniversario della liberazione di Auschwitz e, affinché la storia non sia solo un cumulo di eventi ma la base su cui costruire il nostro futuro, sarà bene dedicare a queste circostanze almeno un pensiero.



Liberamente ispirato a: “Ritrovare se stessi” di Guri Schwarz; “L’inferno sulla terra” di Sima Vaisman; “Oltre la persecuzione” di Roberto Ascarelli.


(24/07/2007) - SCRIVI ALL'AUTORE


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