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I DIARI DELLA MORTE. ESPERIMENTI GENETICI AD AUSCHWITZ
Dal 1979, negli archivi della polizia brasiliana era rimasto abbandonato un diario rinvenuto, lo stesso anno, nella casa di una coppia di tedeschi. Da allora, solo nel 2004 il quotidiano Folha de S.Paulo pubblica ottantacinque documenti scritti da Josef Mengele, conosciuto come l’Angelo della Morte di Auschwitz.

Azzurra De Paola

Josef Mengele, l’addetto alla sperimentazione genetica nel campo di concentramento di Auschwitz, non mostrò mai pentimento verso gli atroci esperimenti condotti, specialmente sui gemelli, negli anni della guerra ed il suo diario ne è una chiara testimonianza: “Ad Auschwitz non ho perso la vita, l’ho data” scrive negli anni dell’esilio in Brasile, anni in cui continuerà a perseguire l’ideale della razza superiore.

Sappiamo dai suoi diari che fu favorevole all’apartheid in Sudafrica, che guardava a questo come l’unico modo efficace per evitare la commistione delle razze; si pronunciò, nel 1969, anche a favore delle politiche israeliane aggressive contro i palestinesi.

Nel periodo dell’esilio, lontano dai luoghi che l’avevano visto protagonista dei suoi orrori, cadde in una nostalgica depressione per aiutarlo ad uscire dalla quale i Bossert – la coppia di tedeschi nella cui casa fu rinvenuto il diario – lo invitarono per una vacanza nella loro abitazione di San Paolo. Durante la stessa, morì annegato nel 1979 a causa di un attacco di cuore e non pagò mai i suoi crimini.

Nacque a Gunzburg nel 1911 da un piccolo industriale, Karl, e da Walburga, una donna solita terrorizzare gli operai con improvvise incursioni in fabbrica e con la stessa pretesa di obbedienza dai tre figli. In particolare, il piccolo Josef, primogenito, fu costretto a seguire rigorosamente la dottrina cattolica ed obbligato a vestirsi sempre elegante e con i guanti bianchi che lo contraddistinsero anche ad Auschwitz rispetto agli altri medici.

All’università di Monaco, nel 1930, si iscrisse alla facoltà di medicina e venne a contatto con le idee del movimento nazional socialista capitanato da Adolf Hitler. Allievo di Ernst Rudin, psichiatra fascista svizzero, e di Otmar Freiherr, riuscì a diventare, nel 1937, membro del partito nazista e l’anno successivo entrò a far parte delle SS. Nel 1943 fu assegnato al campo nazista di Auschwitz dove il suo lavoro di ricercatore fu finanziato da una borsa di studio del Consiglio di Ricerca Tedesco. Dopo aver risolto, mandando circa mille persone alle camere a gas, un’epidemia di tifo sviluppatasi tra gli zingari gli fu permesso di compiere sperimentazioni sui gemelli cui prelevava occhi, organi interni, ossa, sangue per dimostrare le relazioni tra malattie e razze. Dei tremila gemelli sezionati, ne sopravvissero solo duecento.

Vera Kriegel descrisse così l’arrivo della sua famiglia ad Auschwitz e il successivo incontro con Mengele: “Quando arrivammo ad Auschwitz io, mia sorella gemella (di soli cinque anni) ed i nostri genitori, molte persone erano già morte sul treno e furono scaricate fuori dai vagoni, dove si stava stipati e la gente moriva soffocata o di malattie. Una volta scesi, i nazisti iniziarono ad ordinare le persone per file: a noi sorelle e a nostra madre ci misero a destra, a nostro padre a sinistra e il giorno successivo ci giunse voce che era morto.

Quando raggrupparono i gemelli, noi seguimmo un gruppo di adulti lungo una strada ai cui lati divampava un fuoco in cui venivano gettati vivi dei bambini a cui le SS, dopo, rompevano i crani con il calcio del fucile; ci rinchiusero, per dieci giorni, in una gabbia senza spazio per muoverci con altre due gemelle: Mengele
– continua Vera Kriegel – ogni giorno ci iniettava qualcosa che non so e dopo queste iniezioni avevamo tutto il tempo voglia di vomitare".

Vera racconta anche che la sorella viveva ormai in una specie di coma, che facevano i loro bisogni nella gabbia e che le sottoposero ad esperimenti agli occhi poiché Mengele si mostrò interessato al fatto che le due bambine avessero gli occhi castani mentre la loro madre li aveva azzurri. Mettevano loro delle gocce negli occhi per poi portarle in un laboratorio con occhi infilzati alle pareti; prelevarono loro il sangue ogni giorno, fecero alle sorelle tagli sulle mani e sui piedi e le lasciavano nude per ore per osservare i loro comportamenti. Siate forti, bambine disse la madre a Vera e sua sorella perché i deboli non rimanevano ad Auschwitz. I deboli se ne andavano.


  
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